Bulli digitali
e risse reali
Più controlli
sul Web

Quello che è accaduto a Gallarate, in provincia di Varese, ha dell’incredibile, ma non è certo una novità. Una maxirissa in pieno centro, l’elegante «downtown» di boutiques, pasticcerie e gioiellerie di questa florida e compassata cittadina tra Milano e la Svizzera. Decine di ragazzini giunti come uno sciame da diversi Comuni, da Varese a Milano, arrivati per branchi col treno per menar le mani a colpi di mazze da baseball, bastoni e catene davanti a passanti terrorizzati ed esercenti che tiravano giù in fretta le serrande. Ed è un miracolo che l’unico ad essersi fatto male sia un ragazzino colpito alla testa, per fortuna in modo non grave.

Nei mesi scorsi ci sono stati episodi simili a Busto Arsizio, in piazza Vittorio Emanuele, altra piazza centralissima. Milano poi è stata una specie di teatro di guerra per tutto il 2020. Due mesi fa alla stazione Cimiano del metrò i carabinieri sono intervenuti per sedare una maxirissa identificando otto persone, tra cui sei minorenni. E poi gli scontri all’Arco della Pace, sotto i grattacieli di Citylife, nel quartiere pittoresco dei Navigli. I metodi sono sempre gli stessi: squadre di giovanissimi confluiscono verso il centro, verso i quartieri chic, quasi a voler dimostrare il senso tribale di appartenenza e di controllo. Poi si sfogano a colpi di bastone e addirittura di coltello, come in un duello rusticano. Molti sono di origine extracomunitaria, spesso «latinos» ma non mancano gli adolescenti «autoctoni», compresi i rampolli di buona famiglia. E se si allarga lo sguardo, il fenomeno si sta allargando a macchia d’olio, fuori dalla Lombardia, da Venezia a Roma.

La rissa comincia sempre sui social, davanti a una tastiera del computer o sul display di un telefonino. I ragazzi si insultano, si sfidano, si raggruppano in bande, si provocano e poi si danno appuntamento per passare – come in Matrix - dalla realtà virtuale a quella vissuta. Il resto lo fa la capacità di aggregazione dei vari network, basta che il capobranco dia un ordine, un appuntamento, un orario, un luogo e il gioco è fatto.

È fin troppo ovvio che la mancanza della scuola in presenza influisce sul comportamento di questi ragazzi. Vivere senza appuntamenti, scadenze, studio, lezioni frontali, figure di riferimento fondamentali come gli insegnanti, compiti da assolvere e responsabilità crea un senso di vuoto che gli adolescenti cercano di riempire in modo incontrollato, spesso dietro figure di riferimento negative, come i bulli dei quartieri digitali o altro. La famiglia può fare molto ma non sempre è presente in molti casi e forse – quando c’è - non può bastare. E dunque che fare? Riaprire la scuola in presenza sic et simpliciter non è certo la soluzione: verrebbero tutti esposti al contagio, come non si stancano di spiegare gli infettivologi e ne diverrebbero il veicolo (soprattutto dopo che si è scoperto che la famigerata «variante inglese» viaggia nei soggetti di minore età). In queste ore si è detto che dopo la vaccinazione delle categorie a rischio e degli anziani anziché andare a scalare per età sarebbe meglio vaccinare proprio gli insegnanti, in modo da interrompere la catena dei contagi e permettere un ritorno in classe più veloce.

Il problema sta anche nei controlli delle forze dell’ordine, che fortunatamente fino ad oggi sono riusciti ad evitare tragedie e conseguenze serie. Oggi più che mai, insieme ai controlli e agli interventi tradizionali, va rafforzato il ruolo della Polizia postale, che ha proprio il compito di sorvegliare la Rete. In un mondo in cui digitale e reale si sovrappongono, il loro ruolo è fondamentale.

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