Bufale e democrazia
La libertà nella Rete

La crescita preoccupante dell’incidenza delle false convinzioni generate da rappresentazioni a loro volta false della realtà, che circolano in particolare sul web, ha aperto un dibattito con profili che toccano la libertà di espressione e la neutralità «innocente» della rete. Ne ha accennato anche il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno. Beppe Grillo, sentitosi chiamato in causa, ha protestato con vivacità, ma la sua è parsa per l’appunto una forma di excusatio non petita.

La rete è uno strumento formidabile per legittimare un atteggiamento in sé molto umano, la diffidenza verso chi possiede il potere della conoscenza - la cultura, i media, l’Accademia - o il potere tout court, la politica, l’economia, la finanza.

Non piace a nessuno passare per creduloni, vittime dello storytelling altrui, e il risultato è che si cede a credenze oggettivamente false, spesso tutt’altro che innocue.

Il fenomeno è mondiale, e pare ad esempio che decisiva per la Brexit sia stata la convinzione errata che il Regno Unito dovesse versare all’Europa 350 milioni di sterline la settimana, ma è molto forte in particolare in Italia. Lo dimostrerebbero il divario tra il successo delle 7 più clamorose bufale diffuse dal web nel 2016 e la presa d’atto senza particolari reazioni delle 7 più importanti notizie vere diffuse nello stesso periodo, o una classifica dei più disponibili a credere alle notizie false, che ci vede al primo posto in Europa.

Se prendiamo per esempio fatti oggettivamente complessi come l’immigrazione o il rapporto tra lo Stato e le Banche, è fortemente radicata sia la convinzione che gli immigrati siano il doppio o il triplo dell’8% effettivo (il concetto dell’«invasione») sia che le Banche siano state aiutate ingiustamente. La verità è che nel primo intervento Mps, lo Stato ha prestato 4 miliardi, ritornati tutti indietro con alti interessi, per cui ci ha guadagnato. Vedremo l’esito ben più difficile dell’intervento ora in corso, ma i miliardi in gioco, purtroppo a debito, sono poco più del 10% di quanto concretamente dato dalla Germania alle sue Banche. E comunque qui l’errore non è quello di aver scialato per debolezza verso i poteri forti, ma di aver aspettato troppo ad intervenire.

Il dibattito su immigrazione e Banche è molto più complesso, e ben altri sono i rilievi da muovere ad Italia ed Europa, che non quelli che hanno gran successo nella formazione delle opinioni prevalenti.

Eppure, mettere il bavaglio al web sarebbe un errore. Non diceva il filosofo che tutto ciò che è reale è razionale? Sarà astratta fiducia liberale, ma insistiamo nel credere che il confronto tra il vero e il falso sia in prospettiva più utile alla verità. E poi chi stabilisce ciò che è vero? La proposta grillina per un giurì popolare sulla rete è a dire poco grottesca.

Il problema vero è un altro e cioè che il fenomeno del fake si intreccia con l’era che è stata definita della post verità. La verità, con la v minuscola, è bene cercarla sempre, ma è molto pericoloso superarla, renderla superflua, insignificante. Nella post verità non importa che qualcosa sia falso. Importa solo la reazione, in genere di indignazione e ostilità, che questo produce. Si va alla ricerca non di una convinzione ma di uno stato d’animo che sia appagante, rispetto alle frustrazioni che ad esempio la crisi economica ci fa vivere. Se una falsa notizia ci consente di individuare un colpevole, poco importa la verifica. È più facile credere, restando agli esempi fatti, che tutto si risolva bloccando l’immigrazione e punendo le Banche.

Qui è anche la radice del nuovo corso populista, che prima è dolce e consolante ma poi inevitabilmente autoritario, che spazza via tutte le mediazioni, soprattutto quelle culturali, e cerca un legame solo tra la rete senza volto e un capo che applica il principio dell’uno vale uno non a sé stesso, ma a tutti gli altri. E non è un tema che riguarda solo i 5 Stelle. Ci sono le imitazioni, talora più pericolose.

Sta di fatto che la droga di «capire» da dove vengono le «vere» minacce, anche a costo dell’invenzione, esalta i professionisti della fabbricazione di bufale, anche di quelle che stanno avvelenando persino la politica internazionale. Gli esperti hanno dimostrato che ben due terzi delle affermazioni di Trump in campagna elettorale erano false, ma Trump ha comunque vinto, e questo incoraggia molti dispensatori di non verità. La buona politica è capacità di analizzare ciò che non va, anche cercando di capire anziché demonizzare le ragioni dell’avversario, e comunque riformare anziché distruggere, senza sapere cosa fare il giorno dopo.

Il passo successivo della post verità è - pericolosamente - la post democrazia. E, secondo la regola dell’eterogenesi dei fini, a comandare non sarebbe allora il popolo della rete, ma - umiliati politica e politici democraticamente eletti - trionferebbero i veri poteri forti, quelli che non vanno su Facebook.

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