L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 23 Luglio 2019
Borghesia italiana
chiamata a una svolta
Fu Benedetto Croce, fra i più illuminati e influenti protagonisti dell’idealità culturale europea del XX secolo, il primo a individuare nella borghesia la classe sociale portatrice di maggiori oneri e onori civici. Da lui stesso definita «classe pensante», ne esigeva la responsabilità inderogabile di badare agli interessi generali della nazione, fino al punto di immedesimarsi nello Stato. Tuttavia, salvo sparute eccezioni, questo tipo di borghesia, che ha fatto la fortuna di molte nazioni occidentali, non ha quasi mai attecchito in Italia.
Il nostro Paese non si è curato di allevare una classe media di spessore fiera di essere portatrice di valori ed esempi morali che ispirassero quelli patrimoniali. In effetti, coloro che il valoroso economista e antifascista Ernesto Rossi, in tempi non sospetti e non ancora «liquidi» definiva «padroni del vapore», non sono mai stati all’opposizione. La nostra borghesia è stata cavouriana sotto la Destra Storica, crispiana sotto la Sinistra, giolittiana nell’età di Giolitti, mussoliniana nel ventennio fascista, degasperiana negli anni della Dc e del centrismo. De Gasperi la definiva il «quarto partito», rappresentato non solo dalle grandi famiglie imprenditoriali, ma anche dalle grandi banche legate alle imprese dall’attività di ingegneria finanziaria, di cui era maestra Mediobanca sotto la guida di Enrico Cuccia.
Negli anni ’80 poi, in piena egemonia sociopolitica craxiana, il legame tra la borghesia imprenditoriale e il governo, attraverso i partiti, si è stretto al punto tale da fare emergere anche aspetti pesantemente corruttivi, che hanno portato alle note, sconvolgenti vicende di tangentopoli. Nonostante l’intervento della magistratura, che ha portato alla scomparsa dei grandi partiti, la situazione non è cambiata negli anni successivi. Solo con l’avvento dell’inedito «governo a contratto» fra poli ideologicamente antitetici, quali sono il M5S e la Lega, i rapporti tra il mondo delle imprese e il governo hanno subito una svolta radicale. A determinarla hanno contribuito una certa avversione mostrata dai Pentastellati verso il mondo industriale e, per altro verso, l’atteggiamento palesemente antieuropeo della Lega. Persino gli imprenditori più adusi ad essere ad ogni costo schierati al fianco dei vari governi sono usciti allo scoperto, contrapponendosi al governo in nome delle cultura del fare e della crescita e condannando i molti atteggiamenti marcatamente sovranisti ed antieuropeisti di autorevoli esponenti della Lega. Oggi i salotti in Italia, quelli nei quali un tempo si decidevano le sorti politiche del Paese, non esistono più.
Ciononostante, il governo si è reso conto che non poteva sottovalutare gli effetti alla lunga disastrosi prodotti da una borghesia imprenditoriale passata per la prima volta dopo oltre 150 anni all’opposizione. Il nostro Paese è la settima potenza industriale nel mondo grazie all’estro e all’operosità delle proprie imprese. Una politica che non agisca a sostegno della crescita del comparto industriale e che persegua la rottura dei rapporti con l’Europa genererebbe, oggi più che mai, effetti difficilmente arginabili dalle generazioni che verranno. Queste considerazioni hanno fatto sì che il presidente Conte, messi all’angolo i due dioscuri Salvini e Di Maio, indirizzasse il governo da un lato a ricucire le lacerazioni con il mondo produttivo attraverso lo «sblocca cantieri», aprendo allo sviluppo dell’economia; dall’altro, correggendo il tiro nei confronti di Bruxelles, sfumando sull’antieuropeismo e abbassando i toni nei confronti dei cosiddetti eurocrati. Resta forte e motivata la speranza che la nuova borghesia 4.0, oggi all’opposizione dopo non pochi errori di miopia e arroganza politica, ritrovi al più presto le radici comuni e la concreta idealità auspicate da Benedetto Croce.
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