L'Editoriale
Sabato 04 Marzo 2017
Boom in Borsa,
la guerra dei social
La Borsa di New York dell’era Trump continua a macinare record. In questo contesto va registrato l’esordio col botto a Wall Street di Snapchat, che ha superato le più rosee aspettative. Il primo giorno di scambi si è concluso con una valutazione di 25 dollari per azione, in aumento di oltre il 40% rispetto a quella di 17 dollari, già più alta rispetto alle aspettative che si assestavano intorno ai 14-16 dollari. Un aumento esponenziale, o quasi. A fine giornata il valore di Snapchat, una delle «unicorn» della Silicon Valley (così sono chiamate le aziende che superano il miliardo di dollari) che con il costo iniziale delle azioni era salito a 24 miliardi di dollari, è schizzato a 33,5 miliardi. Si tratta della più grande «Ipo» (Initial public offering, la collocazione sul mercato azionario) da quella di Alibaba (la multinazionale cinese specializzata nel commercio elettronico) nel 2014.
È solo una bolla? O stiamo assistendo alla nascita di una stella del firmamento della New economy, come Google, Whatsapp e Facebook, realizzazione concreta del sogno americano del nuovo millennio? Società impalpabili, digitali, cresciute sideralmente dopo una sorta di selezione della specie, spesso spietata anche se impalpabile, con artefici di età inferiore ai trent’anni, sorridenti delle conferenze stampa con i loro vestiti minimali, solitamente jeans, sneaker, magliette e felpe, come un qualunque teenager americano. Le difficoltà per la nuova nata non mancano perché Facebook ha letteralmente smontato pezzo per pezzo l’app per riproporre molte funzionalità. Ma i suoi artefici hanno già messo in moto le strategie per difendersi a suon di nuove tecnologie.
Se chiediamo a un teenager che cos’è Snapchat probabilmente ce lo saprà spiegare: un’applicazione per il proprio smartphone in grado di inviare video e foto che si autodistruggono smaterializzandosi dopo 24 ore. Può già contare su 158 milioni di utenti, anche se Facebook, eterna rivale economica, ne ha oltre un miliardo, un sesto degli abitanti della Terra. Proprio come nel caso del social network di Mark Zuckerberg, anche le azioni di Snapchat sono state vendute senza diritto di voto, cioè senza possibilità di influenzare la guida, le scelte strategiche e la politica dell’azienda, che resta saldamente nelle mani dei co-fondatori, due ragazzi che si sono conosciuti qualche anno fa all’Università di Standfors: Evan Spiegel e Bobby Murphy, partiti con 127, dicasi 127, utenti (la primissima versione si chiamava Picaboo). Il futuro ci dirà se gli investitori hanno fatto la scelta giusta. Nel 2016 Snapchat aveva realizzato ricavi di 404 milioni di dollari, un balzo in avanti impressionante rispetto ai 58 dell’anno precedente. Ma sono aumentate anche le perdite nette: 514 milioni di dollari, in aumento rispetto ai 372 del 2015.
Difficile indagare sul successo clamoroso di quest’app. Forse il fatto che le immagini possano essere viste per poco e poi scomparire per sempre, come quelle della tv del secolo scorso (è stato fatto questo paragone), autodistruggendosi. Fatto sta che il mondo è attraversato da immagini che come dei fantasmini compaiono sui cellulari di tutto il mondo per poi scomparire all’improvviso senza la possibilità che vengano conservate dal ricevente (se qualcuno effettua uno screenshot si viene avvisati). La foto non più simbolo di ricordi. Sigillo della società effimera, veloce e fuggevole che viviamo, dove a memorizzare non restano che i nostri ricordi visivi, quelli che ci portiamo impressi nella retina. È questo che vogliono i mercati e gli utenti, attualmente.
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