Bimba musulmana
nella Londra proletaria

Quando il Times, autorevole quotidiano londinese, ha pubblicato la notizia che una bambina di famiglia cristiana in un quartiere est di Londra era stata data in affido a una famiglia musulmana integralista, la prima cosa che abbiamo pensato è che si trattasse di un abbaglio. La foto di repertorio messa in prima pagina, con una donna con burka di spalle che teneva per mano una bambina dai capelli lunghi e biondi, accresceva questa sensazione di trovarci davanti quasi a una fiction. La notizia era tanto inverosimile che ci saremmo aspettati tutti una smentita da parte delle autorità competenti.

Invece sono passati due giorni e nessuno purtroppo ci ha detto che quella cosa non è vera. Il Tower Hamlets Council, attraverso un portavoce, si è limitato laconicamente a precisare che «non possiamo commentare i singoli casi o quelli che sono soggetti a procedure giudiziarie». E poi ha cercato di rassicurare tutti in modo molto generico: «I servizi sociali del Tower Hamlets Council offrono una casa amorevole e stabile a centinaia di bambini ogni anno, e in ogni caso, tengono assolutamente in considerazione il retroterra dei nostri figli e la loro identità culturale».

Tower Hamlets è uno delle zone dalla maggior percentuale di immigrati della capitale e di conseguenza tra i più poveri in assoluto del Regno Unito. È un quartiere dove soltanto il 24% dei bambini dati in affidamento sono di origine europea e dove la povertà infantile la più alta della capitale (la Gran Bretagna è il Paese in Europa con le percentuali più alte di povertà infantile). È un contesto sociale in cui l’affidamento garantisce un sussidio alla famiglia affidataria, che quindi a volte fa questa scelta anche per integrare le entrate.

La bambina quindi, con ogni probabilità, è a sua volta figlia di una famiglia immigrata in grave difficoltà e nell’arco di poco tempo è passata in affido due volte, sempre a famiglie musulmane. L’ultima è proprio la famiglia attorno a cui si è acceso il caso. Lei si sarebbe sfogata con la madre naturale, dicendo di essere stata obbligata a levarsi la collanina con il crocifisso e di essere stata privata del piatto che preferisce: la pasta alla carbonara, in quanto la ricetta prevede la pancetta, cibo proibito sulla tavola dei musulmani. Altro particolare sconcertante, il fatto che nella casa della famiglia affidataria nessuno parlerebbe inglese. Si può ben capire che se tutti i particolari dovessero esser confermati ci troveremmo ai confini dell’inverosimile: un servizio sociale che agisce con sconsiderata leggerezza nel decidere su un fatto tanto delicato come la famiglia in cui deve andare a vivere una bambina che viene da una grave esperienza di marginalità. Un servizio sociale che decide contro il dettato del Children Act del 1989, dove si chiede alle autorità locali di tenere in massimo conto nell’affido dei bambini «dell’appartenenza religiosa, dell’origine etnica e dell’identità culturale e linguistica».

Era naturale che un caso come questo esplodesse a livello mediatico, accendendo tensioni su una materia che è materia incendiaria. Molti islamici londinesi si sono sentiti offesi dal modo con cui la stampa ha dato conto dei fatti, e hanno espresso la loro voce sui social, in modi per la verità molto civili. In effetti più che mettere nel mirino la famiglia affidataria sarebbe giusto chiedere conto del comportamento ai servizi sociali. Capire in quanti altri casi hanno agito con simile irresponsabilità. Infine questa vicenda svela un’altra volta il volto di una Londra che nessuno racconta. La stessa che aveva pagato con decine di vittime l’incendio del grattacielo «proletario», la Grenfell Tower. È la Londra dei poveri, che vive ai margini della Londra dorata. Altro paradosso sconcertante di una città tra le più ricche del mondo.

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