Bicameralismo perfetto
Telenovela italiana

All’assemblea costituente del 1947 la discussione sui modi e le forme della democrazia parlamentare fu una delle più contrastate: gli esponenti comunisti si mostravano favorevoli al «monocameralismo»; i liberali, attraverso Einaudi, ritenevano necessario creare un sistema articolato che impedisse il ripetersi di un’esperienza totalitaria come il fascismo; i democristiani, con De Gasperi, erano a loro volta preoccupati della possibilità che nelle elezioni del ‘48 vincessero i comunisti, schierati con Mosca e contrari al Patto Atlantico.

Dopo impegnative mediazioni, si arrivò all’adozione del bicameralismo perfetto o paritario, un sistema nel quale il potere legislativo viene esercitato da Camera e Senato aventi stessi compiti e stessi poteri. L’obiettivo era quello di avere governi fortemente condizionati da faticosi iter parlamentari, che avrebbero, in qualche misura, limitato il loro potere. D’altro canto, si garantiva alle minoranze di non essere tagliate fuori del tutto dai processi decisionali.

Che tutto ciò potesse arrecare qualche problema, limitando eccessivamente l’azione dei governi e rendendoli instabili, emerse fin dai primi anni Ottanta. Se ne fece carico la Commissione bicamerale presieduta da Aldo Bozzi (1983-1985), che non concluse i lavori ma pose al centro del dibattito il tema della differenziazione dei compiti tra le due Camere, prevedendo il sistema del «silenzio assenso». All’inizio degli anni ’90, la riforma della Costituzione di tipo federale, elaborata dall’ideologo della Lega Gianfranco Miglio (1918-2001), prevedeva, tra l’altro, l’eliminazione del «bicameralismo perfetto», con la costituzione di un Senato delle autonomie. La riforma, come noto, non ebbe alcun seguito e fu successivamente accantonata dalla Lega.

Dell’esigenza di realizzare una sostanziale differenziazione dei compiti tra Camera e Senato si fece interprete anche la seconda Bicamerale (1992-1994), presieduta prima da De Mita e poi da Nilde Iotti, ma la fine anticipata della legislatura bloccò il progetto. Ancora la terza bicamerale (1997-1998), presieduta da Massimo D’Alema e anch’essa non giunta alla fine, si spese per la differenziazione dei compiti delle due Camere e per il rafforzamento dell’esecutivo rispetto al Parlamento, con l’introduzione del «Premierato forte». Nel 2006 la riforma costituzionale proposta dal governo Berlusconi, respinta dalla maggioranza dei votanti al referendum, prevedeva anch’essa l’abolizione del bicameralismo con la costituzione del Senato federale e riprendeva l’idea del «Premierato forte» con la possibilità concessa al premier di nominare e revocare i ministri.

L’ultima riforma costituzionale proposta dal governo Renzi, bocciata dal referendum del 4 dicembre scorso, era di portata limitata rispetto al progetto di bicamerale presieduta da D’Alema e alla riforma proposta da Berlusconi. Di entrambe, peraltro, condivideva la logica costituzionale di fondo in quanto, puntando a superare l’assetto bicamerale paritario, si proponeva di rendere più snella e incisiva l’azione del governo.

Tutti i progetti di riforma elencati convergevano sulla volontà di voler affrontare tre problemi: l’instabilità dei governi; l’irresponsabilità dei governi che proprio perché instabili hanno il vantaggio di non rendere conto a nessuno; la confusione nel processo decisionale. Riducendo di molto le fonti d’instabilità e conflittualità, rinviavano ad un’idea di democrazia di tipo maggioritario nella quale il governo, uscito dal confronto elettorale, è messo in condizione di svolgere il proprio ruolo in un clima di competizione dal quale scaturiscano un ricambio e un’alternanza naturalmente e vicendevolmente legittimati.

Al contrario, l’idea che sembra affermarsi dopo il 4 dicembre è quella di una democrazia in cui non ci sono né vincitori né vinti, nella quale le decisioni che vengono prese in Parlamento sono il frutto di faticosi accordi trasversali e contingenti tra i vari gruppi politici. Questa visione è sostanziata dalla riproposizione del sistema elettorale proporzionale, al quale molti si sono convertiti, dimenticando il referendum del 1993 che a larghissima maggioranza lo ha bocciato. Così, nonostante i vari tentativi di allinearci alle altre democrazie europee, restiamo l’unico Paese al mondo in cui vige il bicameralismo perfetto e cresce il numero di coloro i quali, non certo ispirati da interessi generali, pensano che tale sistema non sia riformabile.

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