Berlusconi seduto
sul trono dei libri

Curiosi scherzi del destino. Nell’arco di pochi giorni Silvio Berlusconi è diventato il maggiore operatore italiano in due settori nei quali non ha mai creduto e che «culturalmente» gli sono molto lontani. L’ex cavaliere è uno dei pochi big della politica italiana a non aver mai pubblicato un suo libro e nemmeno s’è mai minimamente preoccupato di dar sfoggio di letture alte o basse che fossero, nei suoi discorsi; eppure oggi si ritrova ad aver consolidato la sua leadership nel mercato editoriale; «editoriale» nel senso proprio dei tanto snobbati libri.

Dall’altra parte sempre Berlusconi, che è stato il profeta della tv pervasiva e vincente, oggi invece ha scelto di dirottare per opportunità il business sulle radio, dove con le recenti acquisizioni è arrivato ad una quota di mercato vicina al 30%. Insomma, siamo di fronte ad una strana e quasi forzata metamorfosi dell’uomo che è stato al timone del Paese per quasi 20 anni. Sembra quasi un contrappasso, perché tutto questo avviene mentre tracollano due grandi business, che negli anni d’oro erano strategicamente legati tra di loro, quello del calcio e quello naturalmente della politica. L’umiliazione del Milan domenica contro il Napoli e la conseguente sostanziale assenza della società, incapace di riprendere le fila di un gioco nel quale aveva pur dimostrato di sapersi muovere garantendo ai rossoneri un ciclo vincente straordinario, si riflettono sul declino della presenza politica. Le vittorie del Milan, negli anni d’oro, erano state un volano comunicativo importante anche sul piano del consenso. Così oggi le sconfitte e la mediocrità della squadra si specchiano nello spegnersi del protagonismo a livello politico del suo presidente.

Ma l’aspetto più inaspettato e interessante di quel che sta accadendo è proprio la scelta di puntare in grande stile sul business della cultura. Ovviamente bisognerà attendere il via libera dell’Antitrust prima di dare le cose per fatte, ma certo oggi Berlusconi con la Mondadori che ha acquisito il suo più diretto concorrente, la Rcs libri, è diventato il «re dei libri», con il 35% cento del mercato normale e il 25% di quello scolastico. Ovviamente è stata una scelta dettata da logiche industriali, perché permette economie di scala, liberando risorse per maggiori investimenti e quindi per uno sviluppo ulteriore del business. Ma il Berlusconi che entra da mattatore in un mercato nobile come quello librario, è un contrappasso anche per un’altra Italia: quella dell’intellighenzia di sinistra, di quei padroni del pensiero un po’ saccenti che hanno sempre visto nell’ex cavaliere non solo un nemico politico, ma anche un leader che degradava l’immagine del Paese.

In realtà il Berlusconi editore di libri, proprio grazie alla sua scarsa familiarità con quell’oggetto cartaceo, è stato un buon editore. Non solo ha fatto crescere i suoi marchi ma ha saputo anche mantenere la loro impronta culturale e una libertà di produzione. Non dimentichiamo che il libro che ha fatto la fortuna di Roberto Saviano, Gomorra, è uscito proprio da Mondadori. Poco importa che lo scrittore sia poi passato a Feltrinelli: lo ha fatto per scelta non perché abbia subìto pressioni dall’editore che lo aveva portato alla consacrazione. E che dire di Einaudi, la casa editrice simbolo della sinistra italiana che venne salvata proprio da Berlusconi, e che ha continuato in questi anni a conservare la sua linea editoriale: tra i suoi autori e consiglieri c’è ad esempio Salvatore Settis, il più autorevole storico dell’arte italiana e oppositore radicale del berlusconismo.

Insomma, se Berlusconi mai avrebbe immaginato di concludere la sua parabola imprenditoriale su un trono di libri, i suoi nemici si trovano paradossalmente ad essere spodestati là dove pensavano di farla da padroni: la cultura.

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