L'Editoriale
Domenica 15 Febbraio 2015
Basta austerità
Serve sobrietà
I cittadini italiani stanno cominciando a capire gli effetti del «vuoto» che ha accompagnato l’agire politico dei nostri tempi, non è pertanto un caso che abbiano riposto molte speranze nella figura del presidente della Repubblica, prima con Napolitano ed ora accolgono con un sobrio entusiasmo la presenza di Sergio Mattarella. La figura del nuovo presidente della Repubblica evoca una relazione positiva con il passato e contemporaneamente apre a una visione fiduciosa verso il futuro che sostanzia e rende viva la dimensione della speranza.
La crisi della politica e dei partiti porta le persone a cercare figure e riferimenti che possano rappresentare il cumulo e l’identificazione delle attese, dobbiamo prendere atto che la figura del presidente della Repubblica ha assunto, in questi anni di emergenza politica ed istituzionale, una dimensione che si è proiettata oltre i limiti e i ruoli imposti dalla Costituzione, senza lasciar emergere l’esigenza di fondare un sistema presidenziale. Lo stato di eccezione che la politica e il Paese hanno dovuto attraversare e che in larga parte permane e che è segnato dalla più lunga crisi economico finanziaria vissuta dal secondo dopoguerra ad oggi, ha modificato quella che viene definita la Costituzione materiale e ha ampliato il ruolo politico del presidente della Repubblica.
Il grande costituzionalista cattolico Costantino Mortati, aveva coniato questa espressione per indicare il fatto che una Costituzione non è un corpo morto e fissista, ma che evolve nel tempo e che integra l’insieme di principi e regole non scritte e che anche se non presenti nel testo scritto della Costituzione, possono ritenersi parte integrante di essa e in quanto tali immodificabili, pena lo stravolgimento dell’ordinamento costituzionale. Questo mutamento interiore e sostanziale della Carta è avvenuto anche per la figura della presidenza della Repubblica, e sarebbe bene che se ne prenda atto.
La figura del nuovo presidente della Repubblica da questo punto di vista rassicura. C’è stato qualcuno che ha arricciato il naso evocando il suo passato politico, ed ha espresso il timore di un ritorno della Democrazia Cristiana. La Democrazia Cristiana è stata parte importante per la realizzazione della democrazia in Italia, per la partecipazione dei cattolici alla vita politica della Repubblica e per la fondazione della laicità dell’agire politico, per la costruzione dello Stato sociale.
Quella storia è terminata e ne dobbiamo prendere atto senza nostalgie. Come del resto è finita la storia del movimento operaio di ispirazione marxista, così è terminata l’esperienza del movimento cattolico, ma come ci hanno insegnato i nostri maestri, ogni storia che finisce segna anche l’esigenza di un nuovo inizio. Non si tratta di fare nuovi partiti, ma di riflettere su come sviluppare e fare permanere in forme nuove un pensiero politico la cui eco abbiamo percepito nel discorso del presidente.
Come cattolici-democratici abbiamo la consapevolezza di appartenere alla stessa matrice culturale del presidente della Repubblica e pertanto siamo chiamati a navigare in una condizione paradossale, segnata da un’incombenza difficile, quale è quella di sentire la necessità di innovare e rendere nuovamente vero un pensiero politico e, senza avere la pretesa che si configuri in una forma partito e di voler partecipare all’esigenza di dare un contributo al ricostituirsi del primato della politica e testimoniare, nello stesso tempo, la modestia e il limite delle forme della politica.
Ma quella cultura politica che si è segnalata per tre inclinazioni, la mediazione, il senso delle istituzioni e una ben intesa laicità, sono qualità preziose di cui il Paese e la democrazia ha ancora bisogno in quanto tendono ad unire e a pensare la politica come servizio di tutti.
È la sobrietà e non l’austerità che dovrà segnare il futuro del nostro Paese e quello dell’Europa a cui dobbiamo guardare, anche di fronte all’offensiva del terrorismo, come nuova patria. Quello che mi attendo è una serena contrazione dell’enfasi riformistica e il sorgere di maggiore concretezza, soprattutto sulle questioni del lavoro che stanno minando la coesione sociale e che stanno generando sfiducia, disperazione, risentimenti, rancori e desideri di rivalsa. Oggi ci sono le condizioni macroeconomiche che rendono possibile tutto questo: dal calo del prezzo del petrolio, al deprezzamento dell’euro e alle nuove opportunità annunciate dalla Bce e dall’Unione europea.
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