Atalanta e Moioli
Due destini e speranze

L’arte di vincere si impara nelle sconfitte. Non lo diciamo noi. Lo dicono in tanti. Lo dice la storia delle guerre al fronte, lo dice la storia delle battaglie sui principi, sui diritti. Lo dicono le più grandi conquiste. Per andare in alto, si parte dal basso. Anche dal basso di una sconfitta. Anche nello sport, che è una metafora grandiosa di tutto il resto. L’Atalanta sconfitta a Dortmund e Michela Moioli sul podio più alto delle Olimpiadi. Non è retorica in offerta speciale, per curare le ferite di una sconfitta che è tanto più dolorosa perché prevedibilissima, e quasi quasi prodigiosamente evitata. Non è retorica: è constatazione, e insieme speranza da coltivare.

La notte di Dortmund è proseguita per cinquemila bergamaschi col ritorno a casa. Eppure, pochi avevano il muso lungo. Vero che la sconfitta brucia. Ma non è un salto mortale senza protezioni dire che quella di giovedì sera è stata una sconfitta esaltante. Poteva finire male, e male è finita. Ma quel che resta è tantissimo: l’orgoglio, le emozioni della gente non si cancellano e non si cancelleranno. Pensateci: anche Atalanta-Malines finì male, eppure tutti ne parlano ancora oggi, quasi trent’anni dopo. Chi c’era ancora gonfia il petto, e di quella partita l’ultima cosa che si ricorda è il risultato. È rimasta emozione che prescinde dalla sconfitta, è rimasta la bellezza d’averla vissuta, di essere stati l’Atalanta con l’esserci, anche senza giocare, fare una parata, un assist, un gol.

Borussia-Atalanta si ricorderà per questo, al di là del risultato. Perché Davide s’è scoperto non così piccolo come si temeva, di fronte a Golia. Perché ieri tanti bergamaschi giravano per la città e per i paesi con quella sciarpa giallonerazzurra al collo, come la medaglietta di un reduce. E perché per vincere bisogna passare dalle sconfitte. Per questo c’è giovedì prossimo, e resta la convinzione che dopo la partita d’andata siano i tedeschi, a dispetto del risultato, ad avere qualcosa in più da temere. Perciò fiducia, perciò niente paura, perciò ventimila cuori torneranno giù in Emilia a spingere l’Atalanta oltre quel che pareva impossibile. Poi andrà come andrà, ma già sappiamo che non ci sarà nulla da rimproverare a nessuno. Come dopo il 20 aprile 1988, quando il Malines venne qui e ci tolse il gusto di una finale di Coppa delle Coppe. Eppure, pensandoci, sorridiamo alla nostra storia.

Eccesso di speranza, eccesso di ottimismo? Forse. Ma siamo sentimentali, e all’alba di ieri, vedendo Michela Moioli salire il gradino più alto del podio olimpico, e soprattutto vedendola in lacrime, non poteva non tornarci alla mente quel pomeriggio di quattro anni fa, Olimpiadi di Sochi. Michela Moioli, giovanissima, diede tutto in quella finale. Diede tutto per salire il gradino anche più basso di quel podio. Ma proprio per quello, cadde di un dirupo e perse. Sesto posto, e legamento crociato rotto. Infortunio lunghissimo, lacrime, uno di quegli abissi che agli sportivi sembrano impossibili da scalare. Invece, Michela proprio da quel giorno ha cominciato una risalita prodigiosa. Che fosse forte, con talento da fuoriclasse, si era intuito già negli allenamenti sulle nevi di Colere.

Ma ora lo sappiamo. Lo sappiamo dalla Coppa del Mondo vinta due anni fa, frutto della costanza. E lo sappiamo adesso, che Michela gareggia da campionessa navigata esaltando ancora di più il suo talento. Dopo le lacrime della sconfitta, le lacrime della vittoria. Lo dicono i saggi, lo conferma la storia. Appuntamento a giovedì, dunque, per un’altra notte da ricordare, per confermare questa legge non scritta. Non c’è modo migliore, per andare in alto, che partire dal basso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA