Astensione record
strappo di Bergamo

Sostanziale conferma dei sindaci uscenti, equilibri politico-amministrativi nel segno della continuità, ma astensionismo record: i tre dati vanno letti insieme e sono quelli che caratterizzano il voto nei 21 Comuni della Bergamasca. Qualcosa cambia, in negativo, nel rapporto fiduciario fra gli elettori e il livello amministrativo più vicino alla gente comune? Si può tentare qualche spiegazione, ricordando che in generale questa campagna non è stata particolarmente «sentita», senza un traino geografico forte (Roma piuttosto che Milano), quindi a bassa intensità retorica. Da noi la partecipazione al voto è stata del 57,68% contro il 69,24% di cinque anni fa, arco di tempo che in politica equivale ad un’eternità. Un tonfo: 12 punti in meno contro i 7 della media nazionale, dove peraltro s’è invertito il ciclo perché l’affluenza è stata inferiore al Nord e non al Sud. La diserzione dalle urne in Italia (ma è così ovunque) è un processo andato via via gonfiandosi dagli anni ’80 con picchi senza precedenti nel ’96 e nel 2013. I motivi si sanno: frattura tra sistema politico e opinione pubblica, disimpegno e protesta collettivi. Le Amministrative, per la loro natura di vicinanza fra le istituzioni e il territorio, parevano tuttavia messe in sicurezza, al riparo dalla fuga dalle urne.

Questa volta l’ultima trincea non ha retto: non sorprende, ma preoccupa. Il crollo da noi incide di più, perché partivamo da quote sempre più alte di un paio di punti rispetto alla tendenza nazionale. In questa circostanza la Bergamasca, normalizzandosi, sembra aver smarrito la propria diversità virtuosa, la cifra tipica delle terre «bianche» mantenuta anche nella Seconda Repubblica: realtà come Brescia e Vicenza, le più vicine a noi per storia e identità. Nei 12 Comuni bresciani il calo è stato del 9,09%, nei 9 centri del Vicentino s’è fermata a 7,53%. Anche qui scivoloni, ma inferiori rispetto ai nostri. Intendiamoci: i nostri 21 Comuni non rappresentano un numero tale da far tendenza. Paesi piccoli e medi, poi: il più grande, Nembro, sfiora i 12 mila abitanti.

L’interesse politico riguardava quasi esclusivamente Curno per via del progettato trasferimento del Centro culturale islamico, tema cavalcato senza risultati dalla Lega. Dunque, anche i bergamaschi omologati? C’è una questione tecnica. Le precedenti elezioni non si erano svolte l’11 giugno, a ridosso della chiusura delle scuole, ma a maggio e in due giorni: il 7 e l’8, domenica e lunedì. Prendiamo il caso di Arzago: ha perso 200 elettori su 1250, ma 5 anni fa l’affluenza del secondo giorno valeva il 7%. L’aver votato in un solo giorno può quindi fornire un pezzo del racconto. Un’altra componente viene dalla conferma dei sindaci uscenti. Il che significa che alle viste non c’era aria di cambiamento: non era ricercato dagli elettori e questo può aver frenato l’interesse, il coinvolgimento. In un paio di Comuni, addirittura, c’era un solo candidato sindaco: niente competizione, niente urne piene. In questi anni, a lungo, il fattore novità ha segnato i tornanti decisivi, animando anche la piccola concorrenza elettorale. In questa circostanza lo strappo non era in agenda e la conferma della stabilità, specie se ritenuta scontata, non accende gli animi.

In sostanza tutto come prima, consolidando il già visto: Curno, Mozzo, Nembro, Villongo restano di area centrosinistra, mentre Albano, Calusco, Brembate, Cisano rimangono al centrodestra. Tuttavia, ancora una volta, abbiamo imparato che ogni elezione fa storia a sé e che ogni territorio ha le sue caratteristiche: per rimanere al caso più politico, Curno, il rapporto fra liste civiche e partiti è stato diverso rispetto a quello instaurato a Nembro. C’è un ultimo elemento che in prospettiva meriterebbe attenzione e cioè il ventaglio di tutele che un Comune, l’amico della porta accanto, è in grado di offrire oggi rispetto all’età dell’oro: il ritrarsi dell’elettorato diventa visibile nello scarto fra le minori risorse pubbliche spendibili e la crescita (quantitativa e diversificata) dei bisogni dei cittadini, specie di quelli che restano indietro. In questa distanza si colloca il disincanto della gente verso un’istituzione amica, l’indebolirsi di quella riserva della speranza fin qui il punto forte della Bergamasca.

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