L'Editoriale
Giovedì 19 Aprile 2018
Alta tensione
Lega e Cinque Stelle
Il Capo dello Stato ha vincolato il mandato esplorativo di Elisabetta Casellati in maniera molto precisa: la presidente del Senato deve accertare in tempi brevi se vi siano le condizioni per formare una maggioranza tra centrodestra e il Movimento Cinque Stelle e mettere così in piedi un governo. Ebbene, tutti sanno che queste condizioni attualmente non ci sono ed è molto difficile che la Casellati possa rimuovere gli ostacoli che si frappongono al successo della sua esplorazione. La neo eletta presidente dovrebbe ottenere da Di Maio il sì ad un governo con Forza Italia oppure un passo indietro di Berlusconi: non c’è modo. Inoltre dovrebbe convincere Di Maio a rinunciare alla presidenza del Consiglio a favore di una personalità proveniente dal centrodestra: non se ne parla nemmeno. Oppure, terza ipotesi, dovrebbe indurre Salvini ad abbandonare Berlusconi e accettare la premiership di Di Maio: non sarà certo la Casellati, berlusconiana della primissima ora, a mettere la firma sull’emarginazione del Cavaliere. Dunque?
Dunque ciò che possiamo prevedere in questo momento è che la presidente del Senato domani, al termine di un rito tipico della Prima Repubblica, tornerà al Colle e riferirà a Mattarella che no, non ci sono le condizioni per un governo tra berlusconiani, leghisti, destra e grillini. A meno naturalmente di un miracolo – cosa sempre possibile nel pazzo mondo della politica italiana – con gli elementi che sono attualmente sul tavolo non si cucina un pasto ma si rimane a digiuno. Del resto Matteo Salvini non si è neanche presentato al colloquio con la presidente del Senato preferendo andare a fare un comizio a Catania da dove ha dato risposte acide a Di Maio che continuava a lanciare i suoi ultimatum: «Deciditi, il tempo sta scadendo».
Tutto questo ci porta a dire che il ragionamento deve ormai scavalcare la parentesi Casellati e guardare al dopo. Cioè a quando si sarà definitivamente accertato – l’esplorazione serve in fondo soprattutto a questo – che l’incontro tra i due vincitori è impossibile e che dunque bisogna aprire una nuova pagina. Ma quale?
Il Movimento Cinque Stelle ha indicato, andreottianamente parlando, un secondo «forno» dove andare a cuocere il pane, e sarebbe quello del Pd. I democratici in realtà hanno sempre rifiutato di prestarsi alla tattica grillina: «Il forno è chiuso, anzi non è mai stato aperto», dicevano anche ieri a via del Nazareno. Eppure nelle ultime quarantotto ore qualche movimento c’è stato insieme ad un cambio di toni, ad una qualche disponibilità di confronto programmatico (i tre punti di Martina elogiati da Di Maio). È possibile che Mattarella voglia rapidamente accertare, una volta chiusa la strada principale, anche se ci sia spazio per un percorso secondario: il governo M5S-Pd, appunto. Chissà se questo darà luogo ad un secondo mandato esplorativo, vedremo.
Ma se, come tutto fa pensare, anche il percorso secondario dovesse rivelarsi ostruito, non ci sarebbe che un’ultima possibilità (escluse le elezioni ravvicinatissime): il governo del presidente, di tregua, di emergenza chiamatelo come volete, che tutti sarebbero chiamati da Mattarella a sostenere in nome del bene dell’Italia, rimandando la partita definitiva alle elezioni europee dell’anno prossimo. Quando si arriverà – perché è fatale che ci si arrivi – a quello stadio, chi risponderà all’invito del Capo dello Stato? È da vedersi, certo non chi giudicherà più conveniente stare fuori e continuare la campagna elettorale in vista del risultato definitivo, posto che il «Rosatellum» sia la legge più adeguata per fornirne uno.
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