All’Europa delle patrie
servono alleati

A Vienna hanno spento la luce. La coalizione tra popolari e nazionalpopulisti è saltata. Il cancelliere in quota Övp Sebastian Kurz ha dato il benservito all’alleato e annunciato ufficialmente la crisi di governo. Come già è successo al suo predecessore Wolfgang Schüssel nei primi anni 2000 spera con le elezioni anticipate di far cassa con i voti dei delusi della Fpö. Un video ha messo fine alle speranze di governo dei populisti nostalgici di destra. Christian Strache, il loro capo, in vacanza nel 2017 a Ibiza, contratta con un’interlocutrice russa la possibilità di affidarle dei contratti in cambio di un sostegno attraverso il giornale «Kronen Zeitung» di sua proprietà.

Una smaccata evidenza che l’ha portato nel giro di poche ore alle dimissioni. Nelle stesse ore a Milano sabato pomeriggio i sovranisti d’Europa riuniti attorno a Salvini rivendicano l’atto fondativo di una rivoluzione democratica, come la intende Marine Le Pen. I cantori dei «figli delle patrie» in un piovoso pomeriggio milanese l’hanno evocata. Ma hanno anche dovuto registrare che la chiusura dei confini forse potrà valere per gli emigrati ma non per la politica. Proprio a coloro che maledicono Bruxelles e invocano il ritorno alla sovranità nazionale i propri Stati diventano improvvisamente troppo stretti.

Devono scendere a Milano per far sentire la loro voce. L’Europa c’è. Dei dieci rappresentati di movimenti sovranisti e nazionalisti europei presenti in piazza Duomo non uno ha osato chiedere di uscire dall’Unione e men che meno dalla moneta unica. Se la prendono con Juncker, con Merkel, con Macron in quanto avversari politici ma non perché lussembughese, tedesca o francese. Per i temi decisivi la battaglia che conta è sulla scena continentale. Angela Merkel non prende parte alla campagna elettorale della Cdu a Brema e in altre località tedesche ma va a Zagabria a sostenere il candidato del Partito popolare europeo. Avere la maggioranza al Parlamento europeo ha la priorità anche per il cancelliere. Una strana giravolta per un politico che nel 2010 teneva sulla corda i consigli europei sulla Grecia e sul futuro dell’euro in attesa delle elezioni regionali del Nordreno Vestfalia. Ma questo è il segno dei tempi. Mentre a Milano piovevano le rivendicazioni nazionali, a Varsavia sotto un sole primaverile Donald Tusk guidava centomila suoi concittadini alla lotta all’autoritarismo del partito di Kaczyński. La democrazia è la connotazione di questa nuova Europa. Popoli che scendono in piazza e rivendicano un ruolo al di là delle nazionalità.

Affermare che la lotta è all’oligarchia europea è un bene. Che lo dicano i seguaci dei sovranisti o i popolari e i socialdemocratici poco importa, importante è esserci arrivati. La distanza fra Bruxelles e le opinioni pubbliche dei singoli Stati va colmata perché è lì che nasce il malessere europeo, cavalcato dai nazionalpopulisti. Se guardiamo ai volti presenti sul palco milanese colpisce quello di Jörg Meuthen, portavoce di Afd un partito per il quale il debito italiano è fonte di possibile contagio. Da qui la forte avversione ad una politica economica fatta in deficit. Il contrario di quel che dice Salvini. Di modifica del Trattato di Dublino non vuol parlare nessuno: chi ha le frontiere esposte alle ondate migratorie se le tiene. Viktor Orban, capo del governo ungherese. ha fatto naufragare ogni decisione in tal senso nei Consigli europei . La solidarietà europea nel campo sovranista per ora si esprime dicendo ad ognuno: affari tuoi. Con questi compagni di strada la Lega può solo spartire l’avversione al dirigismo degli eurocrati. L’Europa delle patrie può anche affascinare ma se gli alleati non ti aiutano allora tanto vale tenersi Bruxelles. Distante, arrogante ma permeabile alla democrazia.

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