L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 10 Gennaio 2017
Al voto sul lavoro?
Partita che scotta
La sentenza che la Corte Costituzionale tra mercoledì 11 e giovedì 12 gennaio emetterà sui referendum della Cgil abrogativi del Jobs act, dei voucher e della normativa sugli appalti potrebbe determinare la fine anticipata della legislatura. O forse anche no. Di sicuro quella sentenza può scoppiare come una bomba: non a caso in queste ore intorno a palazzo della Consulta è in corso un frenetico lavorio che poco emerge nelle cronache dei giornali ma che pure dimostra tutta la difficoltà del momento.
Innanzitutto è chiaro che le firme referendarie raccolte dalla Cgil, tre milioni, puntano a demolire uno dei pilastri fondamentali dei tre anni del governo renziano: l’ abolizione dell’ articolo 18 è stata parte costitutiva della ventata riformatrice del governo del giovane leader, cancellarla significherebbe archiviare gran parte di quella stagione politica e ricominciare daccapo. Anzi, la Cgil col suo quesito addirittura punta ad un articolo 18 «potenziato», in vigore anche nelle imprese con soli cinque dipendenti: quasi una vendetta. È vero che Susanna Camusso in queste ore deve rimediare alla figuraccia fatta dalla sua federazione pensionati che si è scoperto avvalersi proprio dei voucher che si vorrebbe abolire: ma la circostanza non frena una macchina lanciata a tutta velocità contro la maggioranza del Pd.
Dopo la bocciatura delle riforme costituzionali, quella che potrebbe aggiungersi sul Jobs act sarebbe un colpo micidiale alla leadership di Matteo Renzi che difficilmente sopravvivrebbe allo smantellamento delle sue politiche (di cui è prova anche il ridimensionamento della Buona Scuola operato dal neo ministro dell’ Istruzione Valeria Fedeli in accordo con i sindacati degli insegnanti). Senza contare che il 24 gennaio la stessa Consulta quasi certamente boccerà l’ Italicum, la legge elettorale su cui il governo Renzi pose addirittura la fiducia. È dunque presumibile che se la Corte darà ragione alla Camusso e dichiarerà ammissibili i tre quesiti (ma soprattutto quello sul Jobs act) aprendo così la strada al referendum tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi, la reazione dei renziani sarà quella di provare a rimandare la prova provocando l’ immediato scioglimento delle Camere e andando al voto già in primavera. Anzi, secondo alcuni «dietrologi», Renzi arriverebbe ad augurarsi una sentenza di ammissibilità perché gli darebbe il modo di uscire dalle secche in cui sembra già arenata la discussione sulla nuova legge elettorale. L’ ex premier sente infatti che molti stanno facendo melina per prendere tempo e arrivare piano piano a votare con una nuova legge elettorale alla scadenza naturale della legislatura, nel 2018, tenendosi nel frattempo il governo Gentiloni. Una prospettiva che Renzi considera - a torto o a ragione - la peggiore, fatta proprio per impedirgli la rivincita e tenerlo fuori dal gioco. Quindi non è assurdo pensare che lui, nelle vesti di segretario del Pd, voglia usare proprio la minaccia referendaria per aprire le urne in primavera.
Questo gioco non funzionerebbe se invece la Corte respingesse tutti i quesiti, o almeno quello fondamentale, sul Jobs act. Potrebbe anche ammettere solo i quesiti su voucher e appalti che comunque verrebbero annullati dal Parlamento che sta da tempo discutendo su come cambiare la normativa vigente per impedire gli abusi. In questi casi, disinnescata la mina, si potrebbe andare avanti sulla strada tracciata da Mattarella: prima fare con calma e ampio consenso le due leggi elettorali per la Camera e il Senato, nel frattempo lasciare che Gentiloni affronti le varie emergenze (terremotati, banche, scadenze di politica estera) e quindi andare a votare, magari anche in autunno, e che Renzi se ne faccia una ragione. Non paia troppo bizantino questo ragionamento: le sentenze della Corte hanno sempre un forte impatto politico: e come potrebbero non averne quando si discute di norme sul lavoro in un Paese con la disoccupazione all’ 11,9 per cento, mentre l’ equilibrio di governo è così fragile e i partiti si dilaniano in una ininterrotta campagna elettorale?
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