L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 24 Novembre 2014
Adesso linea durissima
la città va liberata
Non è più tempo di dire che gli ultrà sono un problema. Non è una notizia. Il problema è noto, arcinoto, c’è più niente da scoprire. L’abbiamo raccontato fino alla noia. A questo punto chi lo vuol capire, l’ha capito e non certo da sabato sera. Gli altri – pochi ma rumorosi – approvano. Oppure altri ancora girano la testa dall’altra parte. Chi per fanatismo, chi, peggio, per interesse, raccontano un’altra storia. Perché va bene così. Perché per alcuni va bene tutto, nel nome superiore dell’Atalanta. Per noi, no. Lo diciamo da sempre.
Lo ripetiamo ora, all’indomani di queste scene da intifada orobica (favorita dall’assurdo ok alla trasferta dei teppisti della Roma, giunti carichi di razzi puntualmente scaricati tra i bergamaschi in curva Morosini, un gesto che in un Paese normale basterebbe da solo a far sparire i romanisti da qualsiasi trasferta per i prossimi secoli), con ragazzetti che eseguono ordini, mandati cinicamente avanti da chi tira le fila di questo squallido racconto, forse ignari, o forse strafottenti di fronte al codice penale e a quel che li potrebbe attendere.
No: gli ultrà non sono più una notizia, qui. Come la criminalità in certe regioni, come il freddo in Siberia. La notizia, la necessità di riflessione, è altrove. È nella reazione della città. Che finalmente deve essere dura, decisa. Perché se non li si ferma con le parole, li si deve fermare con le azioni. Scavando loro la terra sotto i piedi, laddove seminano. Ecco tre punti, pratici, per agire.
1. Gli ultrà hanno i loro spazi. Sabato sera hanno tirato bombe carta con chiodi e bulloni non comuni. Da qualche parte le devono aver confezionate. Bene. Si prenda il loro «covo», tanto si sa dov’è, e lo si rivolti come un calzino. Si perquisiscano le case, le cantine, ogni spazio sia riconducibile ai «protagonisti». Si cerchino i «fornitori». Lo si faccia rapidamente, anche ragionando d’astuzia. Perché è chiaro che qui non ci sono «cani sciolti», ma abilissimi strateghi, che anche sabato hanno giocato il loro risiko studiato a tavolino. E quel che s’è visto probabilmente non è nemmeno tutto.
Altrettanto si deve fare, una volta per tutte, con il «magazzino» sotto la curva nord. Un tabernacolo del tifo, inviolabile. Bene: deve essere violato. E si deve stabilire una volta per tutte chi ha accesso allo stadio, e quando. Gira voce, documentata, che gli ultrà abbiano accesso alla curva, quando l’Atalanta gioca in casa, già nei giorni della vigilia, per certe «operazioni preliminari». Qualcuno apre loro lo stadio? Lo si scopre in tre minuti, e si chiarisce quando e come si aprono falle nella sicurezza.
2. Gli ultrà hanno i loro soldi. E tanti. Hanno il loro florido business, fatto di merchandising e di Festa della Dea. A Milano, quando nella scorsa primavera si verificarono pesanti incidenti in un mercoledì di coppa, la questura girò rigidamente il rubinetto dei soldi. Vendete sciarpe e gadget in curva? Bene: da adesso non si fa più. Sequestri di materiale a raffica. Tutto quel che non è autorizzato – giornaletti anonimi compresi (che si sa chi li scrive e chi li stampa, ma vengono lasciati circolare in barba a ogni legge e a ogni possibilità di difesa) – non si vende più. A Milano, per far capire che la musica cambiava, li hanno presi per il portafogli. Si può fare, a Bergamo? È pensabile, per esempio, che la Festa della Dea – che a parte alcuni sgradevoli eccessi è una bella idea e piace giustamente a migliaia di persone – venga trattata come le altre feste? Che i loro manifesti rispettino le regole della pubblicità e paghino le relative tasse? Che ci sia trasparenza su chi incassa, e cosa?
3. Gli ultrà vivono di Atalanta, e lo stadio è il loro tempio. Ma attenzione. Bergamo e i bergamaschi amano l’Atalanta, ma c’è una maggioranza silenziosa che vive bene anche restando a digiuno delle vicende nerazzurre. In giornate come quelle di sabato i bergamaschi – tutti, atalantini e no – vivono un deficit di libertà, quindi di democrazia. La reazione delle istituzioni dev’essere rigida: si deve pretendere che la società Atalanta isoli definitivamente chi regge le fila della curva. E siccome c’è una certa resistenza, la condizione dev’essere chiara: il blocco di ogni ipotesi progettuale sullo stadio. Lo stadio si fa quando la sicurezza e la libertà di tutti i bergamaschi sono pienamente tutelate. Lo stadio si fa se l’Atalanta può certificare di avere sostenitori che non calpestano le libertà altrui nel nome della squadra di calcio, o sull’altare del loro assurdo odio per le forze dell’ordine. Altrimenti, facile: non si fa.
Tre punti, duri ma semplici. Perché l’Atalanta è bella e importante, e tutti le vogliamo bene. Ma Bergamo non può più sopportare ricatti e guerre di strada. Bombe carta con vetri e chiodi sono un salto in avanti di fronte al quale non si può più star zitti. O, che è pure peggio, neutrali.
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