A Renzi è mancato
lo sguardo lungo

Dopo la schiacciante sconfitta della proposta referendaria avanzata dal governo Renzi, sono molti a chiedersi quale sia stato il principale errore di valutazione del presidente del Consiglio. La maggior parte degli osservatori politici si è soffermata, in modo assolutamente condivisibile, sull’inopportunità di aver polarizzato dall’inizio il voto sulla propria leadership, distogliendo in tal modo la focalizzazione sull’importante contenuto della proposta di riforma costituzionale.

Ancor più grave, però, credo sia stato l’errore di aver sottovalutato l’estrema difficoltà nell’affrontare congiuntamente riforme economiche e politico-istituzionali. Non si contano gli uomini di governo che, nel corso degli anni, sono naufragati cercando di smentire questa regola non scritta della politica. Il caso più rilevante è quello di Michail Gorbacëv, l’ultimo segretario del Partito comunista sovietico, che ha governato dal 1985 al 1991. Una volta conquistato il potere, si propose di portare avanti riforme di libertà economica (perestroika) e di mutamento dell’assetto politico-istituzionale (glasnost). Quando iniziò a porre mano contemporaneamente a queste riforme, a poco a poco Gorbacëv perse il controllo della situazione. I conservatori iniziarono una grande battaglia, sostenendo che la «glasnost» avrebbe posto in pericolo la stabilità politica del Paese.

D’altro canto, i riformisti radicali proposero innovazioni in campo economico che avrebbero portato ad un sistema di mercato ultraliberista. La conseguenza fu che Gorbacëv si vide costretto a rassegnare le dimissioni, avendo preso atto di un impressionante calo del suo indice di gradimento.

Con una strategia molto più ragionata, si propose di riformare il suo Paese il pragmatico leader comunista cinese Deng Xiaoping che ha governato dal 1978 al 1993 del secolo scorso. Fu molto abile nell’introdurre elementi di libero mercato e di libertà d’impresa nell’ambito dell’economia amministrata cinese, ma fu anche attento a scongiurare l’inevitabile ribellione ideologica dei «duri e puri» del maoismo. L’economia di mercato, termine proibito durante la rivoluzione culturale, fu denominata economia dei distretti, il che permise a Xiaoping di fare il liberista conservando l’assetto comunista dello Stato. Anche quando, a seguito della riforma economica liberale, l’economia cominciò a decollare, se ne guardò bene dall’allargare il perimetro delle riforme al campo politico ed istituzionale. Fortunatamente, nel nostro sistema democratico, nonostante obiettive difficoltà determinate dallo sfibrante iter parlamentare, vi sono tutte le condizioni che consentono di affrontare contemporaneamente riforme economiche e costituzionali. Per approvare queste ultime, però, è necessaria una maggioranza dei due terzi del Parlamento, così da non dover essere costretti a ricorrere ad un referendum confermativo. Proprio tenendo conto di questa circostanza, Renzi si è mosso bene all’inizio, pervenendo ad un accordo con Berlusconi che avrebbe consentito di realizzare la riforma costituzionale con il voto dei due terzi del Parlamento. Venuto meno l’accordo del Nazzareno, per non essere stata concordata con Forza Italia la scelta di Mattarella come Presidente della Repubblica, Renzi si sarebbe dovuto astenere dal portare avanti la riforma, che sarebbe stata votata dalla sola maggioranza e avrebbe inevitabilmente richiesto il rischioso ricorso ad un referendum confermativo. Rischioso perché, indipendentemente da ogni più o meno opportuna e abile presa di posizione, le opposizioni, pur se tra loro enormemente divise, avrebbero trovato conveniente esprimersi tutte per un no alla riforma, al solo scopo di sconfiggere Renzi.

Va tenuto presente, peraltro, che nella Prima Repubblica tutte le modifiche costituzionali sono state approvate dai due terzi del Parlamento ed è stato diffusamente criticato il fatto che per le riforme del 2001 e del 2006 sia stato necessario ricorrere a referendum.

Del resto i nostri Padri Costituenti, prevedendo per le riforme costituzionali la possibilità dell’approvazione parlamentare a larga maggioranza, avevano proprio inteso evitare il ricorso al referendum confermativo, rendendosi conto che i cittadini non hanno le competenze, e in buona parte neppure l’interesse, per occuparsi di questioni così complesse sul piano giuridico ed istituzionale. Evidentemente, al nostro dimissionario presidente del Consiglio, che pure si è reso protagonista di un’apprezzabile e vasta attività di governo, è mancato lo sguardo lungo dello statista.

© RIPRODUZIONE RISERVATA