L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 12 Settembre 2017
11 settembre, ora viviamo
in un altro mondo
Oggi è il sedicesimo dodici settembre della nostra storia. Ovvero, per l’ennesima volta ci chiediamo come e quanto sia cambiato il nostro mondo dal maledetto giorno del 2001 in cui 19 terroristi di Al Qaeda dirottarono quattro aerei di linea per scagliarli contro obiettivi dall’alto valore simbolico: le Torri Gemelle di New York, il Pentagono e forse la Casa Bianca (o il Congresso) a Washington. Obiettivi in terra d’America, certo, ma luoghi dell’intero Occidente, il cuore del potere finanziario, militare e politico che in quel periodo faceva ruotare il pianeta.
Proprio per questo oggi dovremmo trovare la forza di ammettere che quell’Occidente non è cambiato: è finito, estinto, sparito. Non c’è più e non tornerà. Torniamo con la memoria al 10 settembre 2001, alle ore in cui i terroristi si preparavano al volo fatale. Noi vivevamo in un mondo in cui il comunismo era collassato come un vecchio dinosauro e la democrazia in politica e il liberalismo in economia erano non più delle scelte ma l’unica ipotesi rimasta in campo. Chi non era democratico, credevamo allora, lo sarebbe diventato. Chi non apprezzava la libertà di mercato si sarebbe prima o poi convertito. In cui gli Stati Uniti d’America, ovvero i campioni indiscussi della democrazia liberale, erano anche l’unica superpotenza planetaria e quindi si sentivano investiti, ed erano un po’ da tutti chiamati, a ricoprire il ruolo di sceriffi del mondo e di guardiani dell’ordine finalmente raggiunto. Diamo un’occhiata in giro oggi: quale di tali convinzioni ha retto a questi sedici anni? C’è una larga parte del pianeta, dalla Cina alla Russia, che respinge con successo l’idea della democrazia o, almeno, la pone in secondo piano rispetto ad altri valori come la stabilità sociale o la solidità dello Stato. Allo stesso modo, il dirigismo economico è protagonista anche in Paesi che pure hanno vissuto o stanno vivendo importanti fasi di sviluppo.
E del ruolo degli Usa che potremmo dire? Quanti sono ancora pronti a considerarli la guida indiscussa dell’Occidente? Anche in Europa cresce la fronda, e la fedeltà atlantica dei Paesi dell’ex Europa dell’Est è più che compensata dal crescente scetticismo dei Paesi della Vecchia Europa, dall’Italia alla Germania, dalla Francia alla Spagna. Rispetto al 10 settembre 2001 viviamo, appunto, in un altro mondo.La giusta domanda, a questo punto, sarebbe: o merito della forza del nemico o colpa delle nostre debolezze? Meglio puntare sulla seconda ipotesi. Ci siamo concentrati sulla teoria autoconsolatoria dello «scontro di civiltà» (più o meno equivalente al pianto dei bambini: «È tutta colpa sua, io non ho fatto niente!») ma la nostra idea che la storia marciasse in una sola direzione e che a fare civiltà e comunità bastassero il progresso scientifico e tecnologico e l’affermazione dei diritti individuali era a dir poco ingenua. Già allora il pianeta girava intorno a dinamiche più variegate e complesse di queste, che l’euforia della «vittoria» sul comunismo ci aveva spinti a ignorare. Quella di Osama bin-Laden e di Al Qaeda era una pulsione di morte folle e improduttiva ma servì a ricordarci una realtà semplice e terribile al tempo stesso: ciò che per noi era bello e buono poteva essere ripugnante e odioso per altri. E se noi eravamo disposti a combattere per i nostri valori, altri erano disposti a combattere per i loro, per quanto distorti paressero a noi.Da sedici anni ci dibattiamo appesi a questo amo. Come possiamo spiegarci a chi non ci capisce? Come parlare a chi ci odia? La strategia che abbiamo scelto dopo l’11 settembre, tutta armi e denaro, non ha pagato. Avremo la forza di trovarne un’altra?
© RIPRODUZIONE RISERVATA