Tfr in busta paga, che flop
Scelto dallo 0.08% dei lavoratori

Il Tfr in busta paga non ha convinto i lavoratori italiani. L’opzione è stata accolta da «800 lavoratori pari allo 0,08%» su un milione di occupati, a due mesi dall’entrata in vigore della norma della Legge di stabilità. E non si prevede un’impennata, poiché per la maggioranza dei dipendenti interpellati (68%), la «tassazione ordinaria è troppo penalizzante».

A fare i conti è la Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, le cui rilevazioni confermano le indicazioni sullo scarsissimo «appeal» della misura già fornite il 30 maggio. I professionisti hanno appena iniziato «le elaborazioni degli stipendi di giugno che interessano 7 milioni di dipendenti e oltre 1 milione di aziende», mentre nei primi due mesi sono stati analizzati i dati delle piccole, medie e grandi imprese, arrivando all’esito degli 800 occupati interessati alla liquidazione della quota.

Ma perché i lavoratori non si fidano? I Consulenti ne hanno intervistato un «campione significativo», scoprendo che quasi 7 su 10 dicono «no», ritenendo «la tassazione ordinaria troppo penalizzante», il 22% dichiara che «togliere il Tfr dal fondo pensione crea un danno» alla prestazione previdenziale, l’8% non ha «valutato adeguatamente», il 2% ha dato altre risposte.

«Sono cifre che non ci stupiscono – commenta la presidente dell’Ordine nazionale dei professionisti Marina Calderone – credo che sia arrivato il momento di pensare a un diverso utilizzo di quel miliardo che il governo ha stanziato per l’operazione e un’idea potrebbe essere lanciare un piano infrastrutturale per il Paese in grado di rimettere in moto l’economia».

Ma c’è chi la pensa diversamente come l’economista Beppe Scienza, esperto in materia di risparmio. Secondo Scienza, «non per difendere il governo Renzi, ma per confutare alcune frottole», molti dei dati sbandierati provengono da fonti non sempre attendibili e sono comunque limitatamente significativi perché la procedura per richiedere il Tfr è partita da poco e con difficoltà. «Ma anche venissero confermati nei mesi prossimi, richieste così basse sarebbero il risultato soprattutto di una sistematica opera di disinformazione sull’argomento», scrive Scienza.

Poi l’affondo: «Infatti da inizio anno pretesi esperti spadroneggiano sui mezzi di comunicazione e nelle assemblee sindacali. Costoro hanno subito brandito lo spauracchio dell’esosità del fisco, con simulazioni dove appaiono perdite di centinaia di euro al mese. Il Tfr in busta sarebbe da evitare, già solo perché tassato pesantemente. Peccato che il provvedimento sia rivolto ai redditi bassi e per chi guadagna meno o poco più di 1.000 euro netti al mese lo svantaggio fiscale non c’è affatto o è irrisorio. Ma ciò che ha mandato in bestia sindacalisti ed economisti legati a banche e assicurazioni è altro. È la facoltà di ricevere mensilmente il Tfr (correttamente) estesa anche ai lavoratori aderenti alla previdenza integrativa, per scelta o per silenzio assenso. Ecco così che continuano a sfornare numeri finalizzati soprattutto a dimostrare che uno ci rimetterebbe rispetto ai fondi pensione. Tutto falso – conclude l’analista – per cominciare il Tfr in busta paga conviene di brutto a chi ha o pensa di contrarre debiti, con un tasso per esempio del 12,2% medio per i prestiti con la cessione del quinto dello stipendio. Ma in generale esso offre un’occasione interessante per riprendersi per tre anni buoni il proprio Tfr, non potendo impedire altrimenti che continui a finire nella previdenza integrativa, il cui vantaggio fiscale finale è solo una speranza».

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