Economia / Bergamo Città
Mercoledì 12 Febbraio 2014
«Non tradisco la Val di Scalve
ma chi va in Svizzera ha ragione»
«Così non si può proprio più andare avanti: i nostri politici, con chi pensano di avere a che fare? Abbiamo responsabilità, noi imprenditori, e ci piace assumercele tutte: nei confronti dei dipendenti, nei confronti dei clienti e dei fornitori. Ma oggi ci sembra di aver sbagliato tutto».
«Così non si può proprio più andare avanti: i nostri politici, con chi pensano di avere a che fare? Abbiamo delle responsabilità, noi imprenditori, e ci piace assumercele tutte: nei confronti dei dipendenti, nei confronti dei clienti e dei fornitori, nei confronti anche della nostra terra. Ma oggi ci sembra di aver sbagliato tutto». È un fiume in piena Alfredo Piantoni, come in questi giorni il suo torrente Dezzo che attraversa la valle di Scalve: ha ormai settant’anni e ha passato la vita a lavorare e a far lavorare, ma tasse e burocrazia non riesce proprio più a sopportarle.
Dopo aver letto sui giornali dell’ennesimo imprenditore brianzolo che, pur avendo otto dipendenti, ha deciso di chiudere l’attività e di trasferirla in Svizzera, l’imprenditore «nato a Teveno, transitato da Schilpario e ora residente al Dezzo» ha preso carta e penna e ha scritto una lettera ai sindaci dei comuni in cui sono presenti le sue aziende attive nei settori dell’edilizia, del legno e della meccanica e per le quali lavorano cento persone. Oggetto: tassa smaltimento rifiuti.
«Se la Costituzione italiana è ancora valida, all’articolo 53 recita che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Ecco noi imprenditori non ce la facciamo più. Siamo vessati da continui balzelli in cambio dei quali non ci viene erogato nessun servizio».
«Con la Tares ci obbligano – spiega ancora Piantoni - a pagare per una raccolta rifiuti che non viene eseguita: la tassa per le mie aziende viene calcolata sulla superficie occupata anche dai piazzali, dai quali però non esce neppure un chilogrammo di sporco, anzi i materiali quali la segatura e le cortecce vengono rivenduti come materie prime secondarie. E questo è giusto? Mi pare, leggendo delle tante inchieste sulla casta, che le nostre tasse invece che essere versate per un servizio pubblico finiscono nelle tasche dei nostri politici per comprarsi la nutella».
«Io so che i nostri sindaci non rubano – aggiunge Piantoni –, ma devono anche decidersi e mettersi in gioco personalmente per difendere le aziende dei loro comuni: di fronte alle regole della Tares, si possono ribellare o fare di tutto per farla pagare in maniera proporzionata al servizio erogato, che nel mio caso non c’è, altrimenti non si salva più nessuno».
Piantoni esclude di spostarsi in Svizzera: «Certo che quell’imprenditore della Brianza ha fatto bene a trasferirsi: io non ne ho voglia, ho già aperto società in Francia e in Croazia (altri 140 dipendenti in tutto, ndr) ma dalla mia valle di Scalve non posso e non voglio andarmene. Mi rendo conto che il mio ormai è solo un atto d’amore verso la mia terra, perché a guardare le condizioni in cui devo lavorare non ce n’è più neanche una favorevole: tasse, burocrazia, servizi inesistenti, infrastrutture da terzo mondo non ci aiutano per niente: qui ci sono solo doveri, diritti non ne abbiamo più».
Ne ha per tutti, Piantoni, compresi i sindacati, colpevoli di difendere tutti i lavoratori senza distinguere tra chi ha voglia di guadagnare il proprio stipendio e chi vuole vivere sulle spalle degli altri: «Giù a Boario avrei bisogno di assumere due o tre giovani, ma chi me lo fa fare? Se “bòrle dèt” in qualche lazzarone non me ne disfo più: ho settant’anni e posso separarmi da mia moglie, che amo alla follia, ma non da un dipendente che non ha voglia di lavorare. Ma vi sembra normale? E la legge Fornero ha reso il mercato del lavoro ancora più complicato». E l’Unione industriali? «Guardi, ero associato dal 1973; quest’anno non ho rinnovato la tessera. E sa perché? Ogni volta che telefonavo per chiedere consiglio o consulenza mi rimbalzavano da un’altra parte. Ma ’nsoma!».
«Non parliamo delle banche – conclude Piantoni - che sono un capitolo a parte e che ognuno di noi si è scelto, ma i Comuni, i nostri Comuni, che ci impongono il pagamento di servizi che non erogano: vogliono capire o no che dai miei piazzali non esce un chilogrammo di sporco? Ma giuro che su questo sono pronto a dare battaglia con i miei avvocati, fino ad arrivare al Consiglio di Stato o alla Cassazione. Non ne posso più».
A rendere ancora più amaro il suo sfogo, la quasi certezza che le sue lettere non riceveranno risposta: «Non gliene frega niente a nessuno che un imprenditore non abbia più voglia di far girare le proprie imprese: le inefficienze dello Stato vengono continuamente ripianate dalle tasse. Ma io cosa posso fare più che investire e innovare? Le strade continuano ad essere piene di buche».
Giuseppe Arrighetti
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