Economia
Mercoledì 25 Febbraio 2009
L'Ascom premia Capozzi
con la medaglia d'oro
Vedi documenti allegati
Il nonno? Sembra uno scherzo e invece è tutto vero: Capozzi, 85 anni, ha un nonno, d'accordo acquisito, ma pur sempre un nonno. «Ha 81 anni, lui mi chiama Pino, io lui "nonno", come si usa al Sud, perché, in effetti, è il nonno della mia futura moglie». Il teatrino diverte non poco Capozzi, anche perché non è proprio da tutti avere, a 85 anni, ancora il nonno (più giovane, tra l'altro). «Ci tengo ad avere un nonno, il solo pensiero mi fa tenerezza», aggiunge sempre con comica serietà. Pur in assenza del nonno, ma con la sua pur tardiva autorizzazione (dal minaccioso «questo matrimonio non s'ha da fare», il nonno, dopo aver conosciuto il «nipote», è passato all'entusiastico consenso) le nozze tra Pino e Stella si celebreranno a due passi dall'«Agnello d'oro», in una cappella del Duomo. Capozzi si sposa a 60 anni esatti dal suo primo matrimonio con Elena, bergamasca forte e generosa, colonna portante nelle attività alberghiere della famiglia e abilissima ai fornelli (Pino ha appreso da lei l'arte culinaria) - scomparsa prematuramente a 47 anni nel 1971 - e mamma dei suoi due figli, Pier Carlo, 57 anni, e Massimo, 51.
Capozzi muove i suoi primi passi professionali come aviere-marconista dell'Aeronautica militare, durante gli anni bui della guerra; da Brindisi chiede il trasferimento a Orio al Serio - allora scalo militare - dove approda nel 1947. Conosce Elena, nel '49 la sposa, nel '51 nasce Pier Carlo, e i soldi cominciano a scarseggiare. Pino si improvvisa giornalista: è il 1950 e porta al direttore de «L'Eco» don Andrea Spada uno «scoop» non da poco, di cui è venuto a conoscenza come aviere incaricato di fare da addetto-stampa ad una riunione di due commissioni ministeriali con la Camera di Commercio di Bergamo: la trasformazione dell'aeroporto di Orio in scalo per voli civili. «Mi presentai in divisa militare - rievoca Capozzi - alla redazione de "L'Eco" e chiesi di parlare con il direttore. Don Spada - con cui avrei poi avuto uno splendido rapporto per più di mezzo secolo - mi accolse con un "mi dica, figliolo". Gli raccontai della notizia, ma gli chiesi anche quanto me l'avrebbe pagata il giornale, dato che ero a corto di denaro. Don Spada mi guardò con benevolenza e mi disse mettendomi una mano paterna sulla spalla: "Figliolo, noi non compriamo le notizie. Però le posso dare il tesserino di corrispondente de "L'Eco", l'abbonamento gratuito al giornale e, a Natale, persino il panettone». Comincia così, quasi sessant'anni fa, la collaborazione di Capozzi al nostro giornale. In quegli anni la vita di Capozzi segna una svolta: nel '52 si congeda dall'Esercito e si butta nel settore della ristorazione, prima al rifugio «Il Rododendro» a Piazzatorre, poi al ristorante «Ducale» a Colle Aperto e, soprattutto, a partire dal 1964 (dunque quest'anno sono 45), al ristorante-albergo «Agnello d'oro», in via Gombito, in Città Alta. Nel 1972, intuendo le potenzialità della zona alle porte della città, gli affianca l'albergo «Città dei Mille» in via Autostrada e nel '92 il «GuglielMotel» nei pressi del casello di Capriate, due strutture che poi avrebbe gestito il figlio Pier Carlo.
Trent'anni fa Capozzi avrebbe dovuto aprire un hotel anche nella sua Puglia, ma la sua mentalità ormai da bergamasco si scontrò con quella meridionale. Lui quella mancata iniziativa la spiega così: «A Bergamo il patrono è Sant'Alessandro e tanti ragazzi si chiamano Alessandro, così come a Bari molti bambini vengono battezzati con il nome di Nicola in omaggio a San Nicola. Ma se io chiamo un Alessandro, questi mi risponde prontamente: "Eccomi qui, mi dica signore"; se invece chiamo un Nicola ottengo questa più rilassata risposta: "E mo' vengo". La differenza è tutta qui». Come ristoratore pugliese avrebbe dovuto esaltare la pasta, prodotto-simbolo del Sud Italia, e invece Capozzi è diventato l'alfiere del nordico risotto, esportandolo in tutto il mondo a manifestazioni, fiere e gemellaggi. Così spiega la stranezza: «Sono cresciuto con la pasta ma per me, più della pasta, il chicco di riso ha la proprietà di assorbire i sapori e di renderli in maniera superba». Con Ave Ninchi nel '76 ha scritto un libro con 133 ricette di risotti, con Alberto Lupo ha vinto il premio «L'alfiere della gastronomia». Chiamato una volta a realizzare un «risotto del Colleoni», ha ripiegato per un più realistico «Grano del condottiero», dato che la coltivazione del riso non era ancora diffusa ai tempi del Colleoni. Pur essendo ormai un «polentone» («dai bergamaschi - dice - ho preso l'operosità e la testardaggine») e pur servendo la polenta tutti i giorni ai suoi clienti dell'«Agnello d'oro» non è un gran mangiatore del piatto del Nord, apprezzando solo la taragna. Così come l'apprezzano anche i numerosi visitatori stranieri che l'aeroporto di Orio sbarca quotidianamente.
Orio al Serio resta centrale nella vita di Capozzi: vi è «atterrato» nel 1947, vi ha lavorato come aviere-radiotelegrafista fino al '52, e oggi lo scalo è un formidabile veicolo turistico per l'«Agnello d'oro» e tutto il settore della ristorazione di Bergamo (ristorazione che, quanto a qualità, Pino giudica superiore a quella di tante altre province del nostro Paese). E, in attesa del fatidico «sì», Capozzi si appresta a volare da Orio alla sua Gioia del Colle, dove in marzo sarà premiato per la sua carriera di ristoratore e albergatore di successo. «Oh, Signùr - sospira in dialetto bergamasco con accento pugliese - torno là dove sono partito. Ma è qui a Bergamo che mi sono realizzato».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Documenti allegati
«Marchio di qualità» a 65 alberghi bergamaschi