Il patron scuote la testa: da quasi un decennio tutti vogliono sapere da lui come ha fatto ad esplodere un marchio praticamente sconosciuto come La Martina «senza capire che è stata l'esperienza trentennale e il know how di un'azienda come Indas a creare il fenomeno ormai planetario». Società di forti tradizioni quindi, ma aperta al futuro, con presenze importanti in Cina, Turchia e Romania (dove ormai avviene gran parte della produzione), ma con un cuore che continua a battere in Bergamasca, nella moderna sede di Medolago, che ospita una quarantina di dipendenti tra Indas e Zoe Tex (società che si occupa della distribuzione in Italia, capitanata dal figlio Riccardo Abati, appassionato come il padre di cavalli e pluricampione di monta western). Che sia un'azienda a conduzione familiare lo testimonia anche la presenza delle altre due figlie del fondatore, Simona e Veronica, responsabili di due ruoli chiave come l'ufficio acquisti e l'amministrazione.
Ormai La Martina non è più soltanto la «polo argentina» riconoscibile da tutti: Indas ha creato un vero «total look» che va dai giubbotti alle camicie, dalle felpe, alle giacche ai pantaloni, fino ai costumi da bagno o le sciarpe. Per facilitare la commercializzazione nei mercati più fiorenti sono nati negli ultimi anni rispettivamente «Indas France» (che si occuperà a breve anche del mercato belga) e «Indas Deutschland» (che oltre alla Germania, si occupa dei mercati svizzero e austriaco), mentre è in continua crescita il numero dei negozi monomarca La Martina nei luoghi «glamour» per eccellenza: da Saint Tropez (due punti vendita) a Marbella-Puerto Banus, da Madrid a Lione, fino ai point italiani di Porto Cervo e Forte dei Marmi, «luoghi - spiega il presidente - dove vendiamo più l'immagine che il prodotto».
La novità è lo sbarco in grande stile nei mitici magazzini Harrod's di Londra: «Qui avevamo già un piccolo corner - spiega Riccardo Abati - ma dalla prossima settimana avremo a disposizione un vero e proprio negozio di 50 metri quadrati nel tempio dello shopping londinese», mentre è imminente anche un'apertura negli Emirati Arabi. Tutto questo fervore testimonia che, nonostante la crisi, Indas non è retrocessa neppure di un millimetro: «Per ora non ne risentiamo più di tanto - confessa Flavio Abati -: nella recente pre-collezione abbiamo registrato un +22% delle vendite, segno che il nostro brand continua a incontrare il favore dei consumatori, ma sarebbe incosciente non riflettere sul momento di terribile recessione che sta investendo il mondo intero».
Per la verità a Medolago, il «tempo della riflessione» era cominciato ben prima del crollo dei mercati. «Da almeno un anno stiamo considerando novità importanti legati a sviluppo, produzione, ma anche alla filosofia stessa dei nostri capi - spiega il presidente -; la crisi poi ha accelerato questo processo, diventando una sorta di spartiacque. Sono convinto che tutti dopo questa buriana dovremo riconsiderare il nostro modo di vivere e il nostro modo di spendere, anche nell'abbigliamento. Nel nostro settore legato al lusso accessibile pensiamo a cambiamenti a livello di immagine, di funzionalità e anche di prezzo. Immaginiamo insomma uno sportwear più sobrio e funzionale, anche se sempre di alta gamma, puntando su tecnologia e innovazione che sono da sempre alla base del nostro successo, avendo investito tantissimo nel settore di ricerca e sviluppo».
Anche a livello commerciale potranno cambiare le strategie: se l'azienda di Medolago vede ancora margini di crescita in Europa («soprattutto nell'est e in Russia), un occhio particolare sarà rivolto ai paesi emergenti, «in particolare le aree metropolitane della Cina (Shangai, Hong Kong), ma anche in Corea o Thailandia ci sono grandi potenzialità». E in un futuro molto vicino, Indas si dedicherà anche alla clientela non interessata ai capi La Martina, mentre per quanto riguarda il marchio «ammiraglia», l'intenzione è quella di recuperare una fascia di pubblico: «Con il boom delle polo "argentine" attorno al 2002-2003 - ricorda Abati - ci fu l'immediato gradimento soprattutto dei giovani e giovanissimi che risparmiavano anche mesi per potersi permettere un nostro capo. Poi il nostro target si è spostato più in là con l'età, incarnando la voglia del manager di vestirsi in modo più informale e sportivo, ma sempre di qualità. Ora vorremmo recuperare anche la fascia dei ragazzi dai 15 anni in su, con nuove soluzioni».
Non c'è naturalmente una vera ricetta anticrisi, «ma il segreto di Indas - spiega il patron - è stato quello di non ingrandirsi mai troppo, neppure negli anni di maggiore crescita, cercando invece di selezionare il mercato. Fondamentale poi è stato formare, anche all'estero, nostro personale: quando siamo arrivati in Romania, a Pitesti, la situazione era desolante. Noi abbiamo creato dal nulla una fabbrica nuova, dove oggi lavorano 290 addetti del posto, tutti giovani e motivati perché addestrati in loco dai nostri uomini: oggi lì non c'è più bisogno della presenza italiana».
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