Sono arrivati in 400 da tutta Italia
Protesta dei lavoratori Italcementi

Una rappresentanza di circa 400 lavoratori dell'Italcementi di tutta Italia ha manifestato stamattina, venerdì 11 ottobre, per le vie di Bergamo per protestare contro l'intenzione dell'azienda di chiudere 6 stabilimenti dei 15 presenti sul territorio nazionale.

Una rappresentanza di circa 400 lavoratori dell'Italcementi di tutta Italia ha manifestato stamattina, venerdì 11 ottobre, per le vie di Bergamo per protestare contro l'intenzione dell'azienda di chiudere 6 stabilimenti dei 15 presenti sul territorio nazionale.

I lavoratori si sono radunati in presidio fin dalle 7,30 in via Madonna della Neve, dove c'è la sede dell'Italcementi («Quale futuro?» C'è scritto su cartelli esposti all'entrata) e verso le 11 è scattato il corteo con la polizia a controllare la situazione sul piano dell'ordine pubblico e la polizia locale impegnata sul fronte del traffico che inevitabilmente ne ha risentito.

Tantissime le bandiere, i lavoratori indossavano caschetti, mascherine bianche e hanno urlato la loro protesta con fischi e cori. Si sono sentiti accenti di varie regioni, è stata una protesta globale. Presenti i tre segretari provinciali dei sindacati, ovvero Luigi Bresciani, Ferdinando Piccinini e Marco Cicerone.

Davanti alla questura è stato esposto lo striscione «Coordinamento nazionale Rsu Italcementi», in Prefettura una delegazione ha tentato di avere un colloquio con il prefetto che però non ha potuto riceverla perché aveva un altro impegno, così i lavoratori hanno lasciato i loro volantini, mentre al passaggio davanti alla sede di Confindustria, che aveva le saracinesche abbassate, si è sentito un generale «Vergogna».

Alle ore 12,15 il presidio è stato ricostituito in via Madonna della Neve con gli interventi delle Rsu dei vari stabilimenti. Hanno parlato anche Maurizio Giancola, sindaco di Scafa (provincia di Pescara), e Mauro Livi, segretario nazionale Fillea-Cgil. Un coro di «vogliamo garanzie per i lavoratori» e «la politica e il governo diano il loro contributo per risollevare il comparto».

Uno sciopero contro Italcementi, che «non sta rispettando gli accordi sottoscritti a gennaio 2013» e contro il Governo «che non ha fatto e non sta facendo niente per rilanciare gli investimenti e il lavoro, per uscire dalla crisi».

È il senso della manifestazione, secondo Livi. In particolare Livi ha sottolineato la «scelta unilaterale di Italcementi di chiudere 3 dei 15 stabilimenti in Italia» mentre gli accordi siglati «prevedevano il ricorso alla cassa integrazione (24 mesi per 689 lavoratori) e nessun ulteriore intervento strutturale».

Quanto al Governo, i sindacati chiedono che al tavolo aperto presso il ministero per lo Sviluppo economico si metta a punto «un piano industriale per il rilancio del settore e adeguati strumenti di sostegno al reddito per tutelare l'occupazione e il reddito dei lavoratori».

Le ragioni della protesta
Il mercato del cemento continua a soffrire in Italia (meno 20% il dato di quest'anno) e ciò spinge l'Italcementi ad aggiornare il piano di riorganizzazione dell'attività in Italia. Rispetto al piano presentato nel dicembre 2012, l'aggiornamento comunicato nei giorni scorsi a Roma dall'azienda alle segreterie nazionali di Filca-Cisl, Fillea-Cgil e Feneal-Uil consiste nella sospensione dell'attività produttiva, a partire dal febbraio 2014, delle cementerie di Monselice, in provincia di Padova, e di Scafa, in provincia di Pescara, che occupano circa 170 addetti. Di questi, 110 sono in Cassa integrazione in quanto era già prevista una possibile riconversione in centri di macinazione. Con la sospensione dell'attività produttiva, anche gli altri 60 operai in attività saranno collocati in Cassa integrazione alle condizioni previste dall'accordo di dicembre, con un'integrazione del reddito da parte dell'azienda di 550 euro al mese e mille euro all'anno per spese mediche e di istruzione della famiglia.

Italcementi non parla di chiusura bensì di «sospensione della produzione»: se il mercato del cemento resterà sugli attuali bassi livelli, Italcementi - come sta avvenendo nell'ex sito produttivo di Vibo Valentia - si adopererà, facendo ricorso a società specializzate, per cercare possibili soluzioni alternative alla produzione di cemento realizzate da parte di altre realtà imprenditoriali. Italcementi conferma che «la decisione di porre in essere interventi di chiusura o ristrutturazione di alcuni impianti italiani del gruppo è dovuta all'ulteriore forte calo delle vendite di cemento in Italia. I volumi di oggi sono più che dimezzati rispetto a sette anni fa e in Italia si registra, complessivamente, un tasso di assorbimento del prodotto non superiore al 30-35 per cento della capacità produttiva installata».

Da qui la «razionalizzazione della propria rete produttiva» per «garantire la tenuta dell'azienda in una fase drammatica del mercato». La risposta del sindacato e del Coordinamento delle Rsu non si è fatta attendere, con un pacchetto di 16 ore di sciopero e la manifestazione odierna di protesta.

In un comunicato diffuso a suo tempo da Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil di Bergamo, si parlava di protesta rivolta «contro l'intenzione di chiudere 6 stabilimenti sui 15 presenti in Italia: l'11 ottobre le prime 8 ore di sciopero e la manifestazione all'ingresso Italcementi di via Madonna della Neve a Bergamo. Intanto è partito anche il blocco degli straordinari in tutte le sedi del gruppo».

«Così rispondiamo alla decisione della direzione Italcementi che contraddice i contenuti dell'accordo che ha firmato con noi lo scorso gennaio - dicevano Giuseppe Mancini della Feneal-Uil, Umberto Giudici della Filca-Cisl e Luciana Fratus della Fillea-Cgil di Bergamo - La scelta aziendale comporterà la perdita del lavoro per 62 persone a Scafa e 100 a Monselice. Per la continuità produttiva di questi e di altri stabilimenti, l'intesa d'inizio anno prevedeva una valutazione in tempi lunghi, nel 2015: possibile che in 8 mesi abbiano già messo in discussione quanto firmato a gennaio? A questi posti di lavoro che rischiano di essere persi vanno aggiunti i quasi 180 dei siti di Vibo Valentia e Porto Empedocle. Lo sciopero che abbiamo proclamato chiederà anche l'esigibilità dell'accordo in tema di rotazione dei lavoratori in Cassa»

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