Economia
Martedì 20 Marzo 2012
Licenziamenti e crediti negati
Quando il «capitano» è solo
Solo. Con un senso d'impotenza assoluto. E con la consapevolezza che una sua decisione potrà incidere sulla vita non solo di un lavoratore o di una famiglia, ma dell'azienda e in casi più estremi, di un'intera comunità. Parliamo dei capitani d'industria.
Solo. Con un senso d'impotenza assoluto. E con la consapevolezza che una sua decisione potrà incidere sulla vita non solo di un lavoratore o di una famiglia, ma dell'azienda e in casi più estremi, di un'intera comunità. Ci soffermiamo spesso sulle difficoltà dei lavoratori: è opportuno volgere lo sguardo per una volta anche verso quei capitani d'industria che in tempi di crisi feroce sono costretti a compiere scelte impopolari, estreme.
E al di là di casi isolati di capitalismo selvaggio, Bergamo vanta una tradizione di grande sensibilità dei datori di lavoro verso i dipendenti: soprattutto nelle piccole aziende si è ancora abituati al rapporto diretto col «capo», a lavorarci «gomito a gomito», a scambiare opinioni su un macchinario migliorabile, a chiedergli un permesso perché si deve seguire il figlio, a festeggiare insieme l'arrivo di una commessa.
Quando questi uomini sono costretti a decisioni drastiche, a licenziamenti per mancanza di ordini o liquidità (quest'anno sono già 2.058 in Bergamasca), a non dormire più perché angosciati dalla stretta creditizia delle banche, si sentono improvvisamente fragili, in balìa di una solitudine che tradisce un senso di resa.
«L'industriale», recente film di Giuliano Montaldo interpretato magistralmente da Pierfrancesco Favino, fotografa bene questi stati d'animo. «L'attuale è uno dei momenti più drammatici da quando faccio l'imprenditore - spiega Pierino Persico, fondatore della Persico di Nembro -: me ne accorgo dal fatto che certe notti non riesco più a dormire. Fortunatamente non tanto per la mia azienda, ma per il futuro complessivo di questa terra».
«È più forte di me: non riesco a mettere la testa sotto la sabbia come uno struzzo. Noi investiamo ancora tanto in capannoni e macchinari, ma le banche non supportano le aziende. Non parlo di quelle decotte, ma di società sane: così quando sono solo mi assalgono i dubbi, sento la responsabilità di avere tanti dipendenti: io vivo con loro, li conosco tutti per nome, cognome e numero di figli».
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