Lavoratrici e mamme: in 2 anni
1.500 lasciano l'occupazione

In due anni a Bergamo 1500 donne hanno lasciato il lavoro nel primo anno di vita del bambino. A fronte di questi dati dicono alla Cisl «non è più rinviabile una seria politica sui temi della conciliazione». Le dimissioni sono dunque aumentate.

In due anni a Bergamo 1500 donne hanno lasciato il lavoro nel primo anno di vita del bambino. A fronte di questi dati dicono alla Cisl «non è più rinviabile una seria politica sui temi della conciliazione». «Spesso - recita una nota della Cisl - da parte politica, ci si riempie la bocca di politiche per la famiglia, di sostegno alla maternità, e di conciliazione dei tempi di lavoro e cura della persona».

Nella tabella predisposta dalla coordinamento regionale della Donne Cisl di Bergamo, su dati del Ministero del Lavoro e politiche sociali direzione Regionale Lombardia, «emerge in maniera chiara e inequivocabile quanto questi temi restino parole al vento».

Le dimissioni durante il primo anno di vita del bambino sono aumentate, anche se di poche unità. Nonostante il settore industriale sia stato interessato dall'utilizzo della cassa integrazione, le dimissioni sono significative.

«In provincia di Bergamo nel giro di due anni, quasi 1500 donne hanno lasciato il lavoro, più o meno spontaneamente: la scelta tra la cura del figlio e il mantenimento del posto di lavoro non si è posta, e molto ha sicuramente giocato anche la scarsa rete di servizi per la prima infanzia, se non la scarsità di risorse familiari in rapporto ai costi dei servizi, dove ci sono».

Il settore commercio è quello dove vi sono più dimissioni nonostante esista una flessibilità degli orari ed il part-time sia più presente

«Quanto detto dal Presidente Formigoni (“più nessuna donna dovrà dimettersi per difficoltà di conciliare lavoro-famiglia”) – dichiara Mina Busi, della segreteria FNP CISL di Bergamo - non si è realizzato, anzi la situazione è peggiorata. Anche il sindacato deve farsi carico di questo fenomeno: stiamo parlando di lavoratrici a tempo indeterminato che difficilmente potranno trovare nuove opportunità di lavoro». 

«2314 lavoratrici erano occupate in aziende sotto i 15 dipendenti e 2272 sopra i 15 dipendenti significativo anche il dato oltre i 100 dipendenti: le dimissioni sono state 878. Ancora una volta questi dati ci dicono che diventa non più rinviabile una seria politica sui temi della conciliazione e una contrattazione incisiva che modifichi l'attuale situazione».

«Bisognerebbe approfondire e comprendere la questione delle dimissioni delle lavoratrici madri nella realtà bergamasca – continua Busi - e promuovere azioni positive volte a rimuovere le cause o a prevenirle.
Per quanto riguarda le difficoltà nella gestione del rapporto di lavoro, in assenza di familiari di supporto che sono le nonne o nonni, emerge con evidenza la carenza dei servizi a sostegno della conciliazione o il loro alto costo, cui le famiglie fanno fatica a far fronte anche in relazione all'attuale periodo di recessione. Questo fattore risulta determinante nella scelta della dimissioni che generalmente incide sulle donne madri. E' da aggiungere inoltre come gli orari dei servizi mal si adeguano a quelli delle donne che lavorano nell'ambito del lavoro di cura e dei servizi (si pensi, ad esempio, agli orari delle assistenti alla poltrona, delle badanti, delle commesse degli ipermercati,…)».


Le donne che si dimettono appartengono per lo più ad aziende private, nessuna dipende da una pubblica amministrazione (dove i piani di azioni positive, che favoriscano la conciliazione dei tempi, sono obbligatori).

«E' evidente- conclude Busi - che la rinuncia “forzata” del lavoro mette a rischio il proprio futuro professionale ed il successivo reinserimento nel mercato del lavoro.  E' risaputo, infatti, quanto sia difficile reinserire le donne nel mercato del lavoro, specie se con figli piccoli. Questa scelta spesso può essere l'anticamera di un lungo periodo di disoccupazione».

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