Sul prezzo del latte è rottura:
«34 centesimi sono ridicoli»

Mancano sei centesimi. È la distanza che separa i produttori di latte dalle industrie di trasformazione. E mercoledì, presso la sede di Unioncamere a Milano, è stata rottura. Al tavolo c'erano da una parte il mondo dei campi rappresentato da Coldiretti, Confagricotura e Cia e dall'altra le industrie riunite in Assolatte.

La trattativa regionale è il banco di prova che fa da riferimento poi per tutto il Nord Italia. Con i suoi 40 milioni di quintali di latte circa, la Lombardia fa la parte del leone nella produzione e fa da apripista per la definizione del prezzo alla stalla.

A dicembre erano stati concordati 33 centesimi al litro per sei mesi: scadevano giusto ieri. Assolatte, al secondo incontro dopo uno precedente di ricognizione sull'andamento del mercato, ha proposto 34 centesimi per la seconda metà dell'anno contro una richiesta delle organizzazioni agricole di 40.

Il presidente della Coldiretti regionale, Nino Andena, ha parlato di «condizioni ridicole rispetto alla situazione di mercato che negli ultimi sei mesi non ha fatto altro che migliorare».

Non è più tenero il presidente provinciale, Giancarlo Colombi: «Sono le motivazioni di sempre: il mercato è stabile, soffre... Ma i nostri dati dicono che non è in crisi tanto che le importazioni di latte in Lombardia arrivano a 33 milioni di quintali. È un secondo mercato».

A questo punto si preannunciano iniziative per agire sul mercato e aumentare la forza contrattuale dei produttori di latte. Andena ha già fatto capire ieri l'orientamento: vista la situazione, ha detto, «i nostri soci si possono considerare liberi anche di cambiare la destinazione del loro latte e di portarlo dove vengono applicate le condizioni migliori dettate dal mercato».

Le cooperative di raccolta della Coldiretti si incontreranno lunedì per decidere concretamente il da farsi. Nelle zone a più intensa zootecnia da latte si parla di produzioni alla stalla che possono arrivare a 5-6 mila quintali di latte al giorno. «Inizieremo a spostarli da un caseificio all'altro - dice Colombi -. Andremo da chi dà di più, anche fuori regione oppure anche alla polverizzazione» per usi industriali diversi dalla trasformazione casearia. Così facendo, fra l'altro, «verrebbe a mancare all'industria il latte del territorio specie per i prodotti tipici».

Colombi non nasconde che il mondo dell'agricoltura è stanco del braccio di ferro sul prezzo del latte che puntualmente si ripropone ad ogni campagna: «È un dispendio di energie. Non possiamo essere sempre in balìa dell'industria. Occorre affrontare le trattative in modo diverso, con la delega delle aziende in mano, così che si possa fare un vero contratto anziché un accordo sindacale, e indicizzando il prezzo».

Così oscillerebbe in modo automatico in base alle quotazioni dei prodotti di riferimento. Colombi cita il grana, che con i 22 milioni di quintali di latte che richiede assorbe una bella fetta di mercato: «Le sue quotazioni sono salite dell'11%. Oggi il grana può pagare alla stalla 40-42 centesimi».

In questa direzione è andata la richiesta delle organizzazioni agricole. «Non ci sono riferimenti per un prezzo a 34 centesimi - conclude Colombi -: il mercato è cambiato, i riferimenti sono cambiati. I formaggi hanno avuto buoni incrementi e anche il latte estero si quota sui 36-37 centesimi». Ma le posizioni con gli industriali ieri sono rimaste distanti e le parti si sono lasciate senza accordo e senza una data per l'eventuale ripresa del confronto: è rottura e per ora non s'intravedono spiragli.

© RIPRODUZIONE RISERVATA