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Zero microplastiche: i dati di Uniacque sulla Bergamasca

La prima analisi sulle due fonti principali a inizio 2025. Solo dal 2024 la direttiva europea su campioni e analisi. Rilievi storici parcellizzati e difformi, non confrontabili. Ora l’Oms studierà gli effetti tossici e in quale quantità

Nelle acque sorgenti di Bergamo non c’è alcuna traccia di microplastiche. Lo rivela l’ultima analisi effettuata da Uniacque, a inizio 2025. I dati arrivano dalle due fonti principali della Bergamasca, Algua e Nossana, che riforniscono il 40% dei Comuni della provincia. «Al momento, per noi il problema delle microplastiche non si pone per almeno un paio di motivi. Le nostre analisi, effettuate a livello di sorgente, ci fanno dormire sonni tranquilli: sapere che l’acqua che beviamo è del tutto priva di microplastiche è una soddisfazione.

In secondo luogo, a livello normativo le microplastiche non sono un inquinante da ricercare nelle acque, segno che nel nostro Paese si tratta di un problema meno pressante di quanto si pensi», spiega Pierangelo Bertocchi, amministratore delegato di Uniacque. Gli fa eco Monica Gandossi, responsabile Ambiente e Autorizzazione del gestore della rete idrica locale: «A livello macroscopico, il tema delle microplastiche disciolte in acqua può generare preoccupazione. Ma dobbiamo evitare gli allarmismi. La Commissione europea ha introdotto il problema con una decisione dell’11 marzo 2024, perciò non c’è un vero e proprio storico di analisi sul tema. Esiste un elenco di controllo degli “inquinanti emergenti”: significativamente le microplastiche non ne fanno parte, per il momento».

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In effetti, anche la normativa europea più recente presenta un grado di incertezza elevato sulla concentrazione di microplastiche disciolte in acqua e, soprattutto, sui loro effetti sulle persone. «Il monitoraggio delle microplastiche è un esercizio recente» si legge nel testo, che si occupa di stabilire una metodologia per il campionamento e l’analisi dell’acqua: finora, infatti, non è mai esistito un procedimento comune per le rilevazioni delle plastiche disciolte. Ciò ha portato a dati parcellizzati e difformi tra loro, talvolta persino impossibili da confrontare. I risultati delle poche analisi condotte negli scorsi anni sono dunque estremamente eterogenei: la stessa Commissione Ue, infatti, riporta che «i livelli segnalati di microplastiche nell’acqua potabile variano da 0,0001 a 440 particelle per litro». L’incertezza regolamentare si ripercuote anche sugli enti locali: «Uniacque ha condotto le sue analisi per scrupolo, affidandosi a un laboratorio esterno accreditato. Il monitoraggio è stato condotto sulle microplastiche con diametro uguale o superiore a 20 micron, quelle indicate dalla direttiva Ue del 2024, e identifica i materiali plastici con una probabilità intorno all’80%. C’è una componente probabilistica in questo tipo di ricerche, ma le nostre acque sono pulite», continua Gandossi. «I risultati che ci sono stati restituiti sono questi: zero. Non 0,1 o 0,0001. Zero e basta», aggiunge Bertocchi.

Il risultato comunicato da Uniacque è senza dubbio positivo, ma occorre fare una precisazione: si tratta pur sempre di numeri ottenuti da analisi effettuate alla sorgente. La concentrazione di microplastiche potrebbe aumentare durante il «viaggio» verso il rubinetto. L’attenzione va riposta soprattutto sul tratto conclusivo delle tubazioni, quello dentro le case, che spesso è in polietilene. «Il gestore, in questo caso Uniacque, ha la responsabilità della purezza dell’acqua fino al contatore. Da lì in poi, passa al proprietario dell’immobile. Nelle abitazioni, la maggior parte dei tubi è in polietilene, perciò la possibilità che rilascino delle microplastiche in acqua esiste e dipende dall’usura del tubo. Ma se utilizzassimo reti in acciaio i rischi sarebbero diversi e, per quanto ne sappiamo, ben maggiori. In alcuni contesti, come quelli montani, anche la rete si serve di tubi in polietilene, perché la posa di quelli in acciaio sarebbe semplicemente impossibile», continua l’ad di Uniacque, che però ricorda che la normativa europea più recente ha introdotto delle restrizioni sui materiali e sull’usura delle reti, proprio per prevenire il rilascio di microparticelle in acqua.

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Al momento, il problema maggiore è un altro: non c’è ancora un consenso unanime sulla pericolosità e sugli effetti sull’uomo delle microplastiche. La decisione della Commissione Ue del 2024 è possibilista e parla dell’ingestione come di una «fonte di preoccupazione», aggiungendo però che «i dati attuali offrono prove limitate circa gli effetti negativi delle microplastiche sulla salute umana, a causa dei notevoli limiti delle informazioni disponibili». Dello stesso parere sono sia l’Istituto Superiore di Sanità che l’Oms, che parlano di prove insufficienti per stabilire se le microplastiche facciano male o no. «Quello che serve, al momento, è una banca dati più corposa e omogenea: la metodologia comune stabilita dalla normativa dello scorso anno è un buon passo avanti in tal senso. Una volta che avremo un database completo, anche noi di Uniacque ci impegneremo per adeguarci ai sistemi di monitoraggio prescritti a livello nazionale. L’Oms potrà eseguire degli studi definitivi per stabilire se le microplastiche possano avere un effetto tossico sull’organismo e in quale quantità. La preoccupazione del pubblico è motivata, ma va ridimensionata: le nostre sorgenti e la nostra acqua corrente sono pulite», conclude Gandossi.

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