Il clima che cambia, gli eventi estremi la nuova normalità

La crisi climatica. Le conseguenze del cambiamento climatico in atto, connesso con le emissioni di gas serra delle attività umane, saranno particolarmente drammatiche per l’Italia e per l’intera area mediterranea, una delle più sensibili al mondo all’aumento medio delle temperature. Il Po colpito da una siccità gravissima, con il mare che risaliva lungo il fiume per oltre 30 chilometri, ne è stato, l’estate scorsa, una dimostrazione drammatica. Purtroppo è solo l’inizio.

Le conseguenze del cambiamento climatico in atto, connesso con le emissioni di gas serra delle attività umane, saranno particolarmente drammatiche per l’Italia e per l’intera area mediterranea, una delle più sensibili al mondo all’aumento medio delle temperature. Il Po colpito da una siccità gravissima, con il mare che risaliva lungo il fiume per oltre 30 chilometri, ne è stato, l’estate scorsa, una dimostrazione drammatica. Purtroppo è solo l’inizio.

Ne parliamo con Monia Santini, direttore della divisione Impatti su agricoltura, foreste e servizi ecosistemici della fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Da oltre 15 anni studia le interazioni tra clima ed ecosistemi terrestri attraverso modelli, con focus sulle risorse idriche e la siccità. L’esperta terrà domenica prossima, 16 ottobre, una conferenza per BergamoScienza sul tema «Il nostro clima non è più nostro» con la divulgatrice Anna Violato (Nxt Station, piazzale degli Alpini, ore 15-16,30). «Il nostro clima estivo è già abbastanza secco», spiega. «Il problema di quest’anno è che anche l’inverno e la primavera precedenti lo sono stati, con poca copertura nevosa: quanto garantisce la ricarica delle falde è mancato. La siccità ha tre attributi principali, intensità, frequenza, durata: aumenteranno tutti, appesantendo ancor più gli impatti».

Serve un piano di adattamento che in Italia, com’è noto, è fermo.

«Il Centro euro-mediterraneo ha collaborato alla stesura del piano, ora al ministero in attesa della Vas, la valutazione ambientale strategica. Ha individuato interventi da attuare a livello locale, come la costruzione di invasi, la manutenzione e il ripristino della rete di distribuzione per limitare le perdite: queste variano dal 26 per cento del Nord al 45 del Sud, con una media del 36. Da un lato servono gli investimenti in infrastrutture, dall’altro l’educazione, la maggiore consapevolezza nella domanda, con pratiche per ridurre i consumi e gestire i territori. Le risorse idriche mettono in competizione la produzione di energia, l’agricoltura, gli usi industriali e civili, l’ecologia. È importante la gestione integrata, perché l’agricoltura consuma circa il 70 per cento di acqua, mentre la domanda negli altri settori crescerà, in particolare in quello idroelettrico, una fonte rinnovabile su cui occorre investire. Il deflusso minimo vitale permette agli ecosistemi di continuare a vivere e a fornire la risorsa tramite il ciclo dell’acqua. L’agricoltura deve ottimizzare gli usi in base alla disponibilità e alla effettiva necessità. La riprogettazione dei prelievi è impossibile senza i dati e la tecnologia, come i sistemi informativi di monitoraggio: l’Europa è impegnata in questa direzione con il programma Copernicus. L’agricoltura di precisione può aiutare. Sul lungo termine si tratta di combinare l’adattamento con la mitigazione, cioè con le azioni di prevenzione o diminuzione delle emissioni di gas serra. Qualsiasi tecnologia di adattamento non solo deve essere a basse emissioni ma, tenendo conto del clima che ci aspetta, l’opportunità di contribuire alla mitigazione deve essere valutata per come può funzionare in futuro. Il cambiamento climatico è in corso».

Quali azioni prevede il piano di adattamento per le risorse idriche?

«Si differenziano in “green”, basate sui servizi ecosistemici offerti dall’ambiente; grigie, tecnologiche e di ingegneria come lo stoccaggio e la distribuzione; “soft”, approcci giuridici e politici mirati a modificare comportamenti e modelli di gestione. Il piano classifica poi le azioni secondo i criteri di efficacia, efficienza economica, benefici ulteriori».

Il Pnrr aiuta: quasi il 40 per cento dei fondi sono destinati alla transizione verde.

«Ci si aspetta, infatti, che con il Pnrr si possano fare molte cose, come interventi sulla rete e il ripristino di aree fondamentali per la ricarica degli acquiferi per avere più risorsa a disposizione».

Nei mesi scorsi sono state adottate misure per contenere i consumi d’acqua: si va verso il razionamento?

«Già nel 2020 undici città, soprattutto al Sud, l’hanno subito. Il problema non è solo la disponibilità ma le perdite enormi: circa 41 metri cubi al giorno, equivalenti a sei piscine olimpioniche all’anno, persi per ogni chilometro di distribuzione in Italia. Circa un terzo delle famiglie, poi, non si fida dell’acqua del rubinetto e ricorre a quella in bottiglia, con impatti sull’ambiente per gli imballaggi. Un altro indicatore della vulnerabilità dei sistemi di distribuzione è l’incapacità di gestire emergenze. L’acqua degli invasi, quando avvengono le alluvioni successive a un periodo di siccità, può diventare indisponibile. In questi casi si deve avere un piano b: chiudere l’invaso indisponibile e sfruttarne un altro».

Sprecati 41 metri cubi al giorno, sei piscine olimpioniche all’anno, per ogni chilometro

Non siamo in grave ritardo per arginare i cambiamenti climatici provocati dalle attività umane? Molti sono irreversibili.

«È vero. I primi dati allarmanti risalgono a più di vent’anni fa. La siccità agro-ecologica, che si riferisce alla mancanza di acqua nel suolo, può aumentare la propria frequenza, a seconda del riscaldamento futuro, da una a quattro volte in dieci anni. È positivo che l’Unione Europea si sia posta l’obiettivo di diventare il primo continente climaticamente neutrale entro il 2050. Bisogna agire, perché altrimenti si perde il controllo. Gli eventi estremi, se accadono tutti gli anni, diventano la nuova normalità».

Che cosa ci aspetta?

«Ottobre è l’inizio dell’anno idrologico, quando comincia a piovere e poi a nevicare. Le piogge di una o due ore che fanno disastri sono inutili per la ricarica dell’acqua, perché ruscella e se ne va. Il suolo non la trattiene e non riesce a ricaricare in profondità. Mentre un fiume e un lago risentono maggiormente delle temperature e dell’evaporazione, l’acqua in falda può rappresentare la salvezza. Se mancano le ricariche nel corso degli anni, anche la disponibilità sotterranea diminuisce».

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