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Cara carne quanto ci costi

Gli impatti: i gas a effetto serra, i liquami, i disboscamenti per produrre i foraggi. Settanta miliardi di animali macellati all’anno: dai polli negli Usa ai maiali in Cina

Settanta miliardi è il numero del totale di animali uccisi ogni anno nel mondo per scopo alimentare, senza considerare i pesci. È solo uno dei molti dati citati, tra studi e report internazionali, nel saggio «Capitalismo carnivoro. Allevamenti intensivi, carni sintetiche e il futuro del mondo» (Il Saggiatore, 2022) della ricercatrice Francesca Grazioli, che lavora nel centro di ricerca Bioversity International, occupandosi di cambiamento climatico e sicurezza alimentare in diverse regioni del mondo.

«Settanta miliardi è una stima al ribasso – specifica Grazioli – ed è destinata a crescere. La maggior parte di questi animali sono polli. Basta vedere il consumo giornaliero: è di 23 milioni negli Stati Uniti, che è il Paese che traina fortemente il settore. Ma anche in Italia il consumo di carne è triplicato: si è passati dai 20 kg all’anno pro capite del 1960 agli oltre 60 chili di oggi». La domanda sorge spontanea: come si è arrivati a questi numeri? Le ragioni stanno dietro al sistema definito dal’autrice «capitalismo carnivoro», in cima al quale si trovano multinazionali potentissime che, con fatturati da miliardi di euro, controllano l’intero mercato, abbattendo la concorrenza.

La situazione descritta nelle pagine del saggio di Grazioli è quella, in particolare, del mercato statunitense che, di fatto, è riproposta dalle logiche di quello europeo: «La produzione di carne a livello industriale alimenta un sistema che, tramite i grandi numeri e le economie di scala, ha permesso di produrre sempre più carne a prezzi sempre più bassi», spiega Grazioli. «Da un lato, quindi, la carne diventa più accessibile, dall’altro, con il miglioramento dello stile di vita e i processi di urbanizzazione, si registra una maggiore capacità di consumo. Un altro fattore che incide sono i Paesi dell’Est asiatico, dove sta crescendo il tenore di vita e stanno diminuendo i prezzi, con una crescita prevista sul consumo di carne del 7-8% nei prossimi 2-3 anni». Non è un caso – si legge sempre nel libro – che circa la metà dei maiali nel mondo venga allevata in Cina.

Quanto inquina ciò che abbiamo nel piatto? «Il punto è che il sistema di allevamento intensivo è stato innestato su corpi vivi, che hanno bisogno di nutrimento e producono deiezioni», aggiunge la ricercatrice. «I ruminanti, mangiando cellulosa, producono gas a effetto serra, come metano e protossido di azoto che, anche se emessi in una percentuale minore rispetto alla CO2, hanno impatti maggiori perché trattengono di più il calore. Il secondo problema è la gestione dei liquami per via delle sostanze ingerite dagli animali. In ultimo, c’è il foraggio per alimentarli, che contribuisce al disboscamento di ampie aree coltivate a mais e soia».

Incognite: la carne sintetica?

Qual è il futuro della carne? «La riflessione – risponde Francesca Grazioli – deve scaturire dalla comprensione del problema, che non si limita al solo consumo – la scelta di mangiare o no la carne – altrimenti resterebbe un tema di interesse solo del singolo. È da discutere sul piano politico, che include il concetto di comunità, perché sono in gioco la salute e l’inquinamento». La carne sintetica? «È una tecnologia in itinere. Può rispondere ad alcuni problemi dell’intensivo ma conserva incognite. Da un lato, le grandi industrie stanno investendo lì: quindi la domanda è chi avrà il dominio sulla tecnologia. Dall’altro, non è messa in discussione la centralità della carne nel piatto: non è detto che sia sempre così».

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