Eco.Bergamo
Lunedì 27 Marzo 2023
«Fenomeni attesi ma accelerati dovuti al riscaldamento globale»
Crisi climatica ed ecologica. «La siccità è un risultato del riscaldamento globale di origine antropica, dovuto all’accumulo in atmosfera di gas a effetto serra, in modo particolare per l’utilizzo dei combustibili fossili. Il nostro Paese è soggetto, e lo sarà sempre più, a periodi prolungati di siccità, che sulle Alpi e nella Pianura Padana stanno portando una situazione completamente nuova. La siccità continua dal dicembre 2021. Il Po e gli altri fiumi non sono mai stati così bassi. Con sgomento abbiamo visto che in inverno la neve e la pioggia non sono cadute, le falde non si sono ricaricate. Tutto questo ha conseguenze sugli ecosistemi».
«La siccità è un risultato del riscaldamento globale di origine antropica, dovuto all’accumulo in atmosfera di gas a effetto serra, in modo particolare per l’utilizzo dei combustibili fossili. Il nostro Paese è soggetto, e lo sarà sempre più, a periodi prolungati di siccità, che sulle Alpi e nella Pianura Padana stanno portando una situazione completamente nuova. La siccità continua dal dicembre 2021. Il Po e gli altri fiumi non sono mai stati così bassi. Con sgomento abbiamo visto che in inverno la neve e la pioggia non sono cadute, le falde non si sono ricaricate. Tutto questo ha conseguenze sugli ecosistemi».
Emilio Padoa-Schioppa insegna Ecologia del paesaggio e Biologia presso l’Università di Milano-Bicocca, è presidente della Società italiana di ecologia del paesaggio e si occupa di conservazione della biodiversità, analisi dei servizi ecosistemici, monitoraggio di specie e habitat, valutazione dell’impronta umana sulla biosfera; nel 2021 ha pubblicato «Antropocene. Una nuova epoca per la Terra, una sfida per l’umanità» (Il Mulino). Con lui vediamo le conseguenze su fauna, flora e paesaggio del lungo periodo di siccità.
Quali sono gli ecosistemi più colpiti?
«Gli ambienti umidi che, quando l’acqua manca o diminuisce drasticamente, vanno in sofferenza. Già l’estate scorsa sono stati osservati completamente in secca torrenti alpini che mai lo erano stati. L’altro aspetto drammatico è l’innescarsi di effetti concatenati: se a valle arriva meno acqua, diventa tutto più difficile per l’agricoltura. L’estate scorsa si è posto il problema della scelta se l’acqua si potesse usare per gli invasi delle centrali idroelettriche o se fosse da preservare per gli usi irrigui. In Veneto e in Emilia-Romagna si piange per la risalita del cuneo salino. In alcune zone si inizia a pensare di cambiare coltivazioni, sostituendo quelle che hanno bisogno di molta acqua. Ci sono poi gli effetti delle ondate di calore. I rapporti dell’Ipcc, il Panel intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico, ci avevano avvertito: continuando con il modello “business-as-usual” (cioè senza drastica riduzione delle emissioni di gas serra, ndr) nel 2050 nella Pianura Padana una città come Torino potrà raggiungere i 50 gradi, come a Karachi in Pakistan. Quanto stiamo osservando in questi anni non è nient’altro che il realizzarsi delle previsioni. Anzi, i modelli erano stati fin troppo prudenti, perché la realtà sembra essere accelerata».
Gli ambienti umidi in sofferenza. Se a valle arriva meno acqua, diventa tutto più difficile per l’agricoltura
Per fauna e flora che cosa state osservando?
«L’insieme delle modificazioni del clima, non solo la siccità ma anche l’innalzamento delle temperature, due facce della stessa medaglia, porta uno sconvolgimento. Alcune specie cambiano i ritmi biologici perché non riconoscono più le stagioni e sono a rischio. Già secondo uno studio pionieristico di qualche anno fa gli uccelli migratori, che si spostano dai quartieri di svernamento verso quelli di riproduzione in funzione delle temperature, anticipano il trasferimento ma trovano le prede non ancora così abbondanti perché nel luogo di destinazione gli effetti del riscaldamento globale non si sono verificati in modo simultaneo. È il fenomeno dello sfasamento, che manda in sofferenza l’avifauna migratrice. L’aumento delle temperature, poi, favorisce spesso alcuni agenti patogeni per la fauna e le piante selvatiche, con ulteriori sconvolgimenti. La fauna selvatica che fatica a trovare il cibo si sposta, con il rischio di conflitti con quella addomesticata».
Sfasamento dei ritmi biologici, in sofferenza l’avifauna migratrice. Agenti patogeni favoriti
È quello che può accadere al lupo, avvistato ora a quote più basse?
«L’espansione del lupo, dal punto di vista ecologico, non è una cattiva notizia. Ovviamente può generare problemi, in particolare per gli allevamenti. L’espansione è dovuta a motivi diversi: le politiche di tutela, l’abbandono della montagna, l’abbondanza di ungulati, gli erbivori predati. Il lupo, ancora dopo la seconda guerra mondiale, era raccontato come un animale nocivo da sterminare, oggi non più. Bisogna recuperare la memoria delle Alpi abitate anche da animali che possono risultare pericolosi, il lupo non tanto per l’uomo perché tende a evitarlo, ma per ovini e caprini, imparando come proteggere bene gli animali domestici, così che sia difficile predarli. Se riconosciamo al lupo un ruolo positivo per l’equilibrio ecologico perché tiene sotto controllo certi erbivori, occorre risarcire in tempi rapidi e in misura equa gli allevatori che hanno subito danni, dopo aver verificato che abbiano adottato le misure adeguate per la tutela dei propri animali».
Ruolo positivo del lupo per l’equilibrio ecologico, risarcire gli allevatori che hanno subito danni
Altre specie a rischio?
«Gli anfibi, perché sono legati, in una fase della propria vita, all’ambiente acquatico e in un’altra prediligono generalmente ambienti umidi. Nella nostra pianura ci sono specie endemiche, magari con areali molto ridotti, come la rana di Lataste e il pelobate fosco, sicuramente non aiutate dall’incremento del calore. Prediligono i boschi umidi, di cui già sono rimasti pochi frammenti, e oggi sono ancora più in difficoltà. Negli inverni miti e non più rigidi come un tempo si avvantaggiano anche alcune specie invasive. Già anni fa abbiamo studiato la tartaruga palustre americana, venduta nelle fiere come animaletto da compagnia e poi spesso abbandonata quando cresce perché diviene troppo grande per gli acquari. È una specie sub-tropicale. Si pensava che non sopravvivesse in Pianura Padana. Ora non solo supera l’inverno ma si riproduce. Abbiamo dimostrato che proprio il riscaldamento globale favorisce questo sviluppo e l’espansione a danno delle testuggini palustri europee, perché nella competizione vince la specie invasiva. Qualcosa di simile sta avvenendo con i pappagalli parrocchetti, specie esotiche che, se liberate, entrano in competizione con l’avifauna locale negli ambienti urbani. Sono segni di uno squilibrio totale dell’ambiente».
Il clima più caldo e secco sconvolge la natura, le specie invasive sono favorite nella competizione
Si può stimare l’incremento del tasso di estinzione dovuto ai periodi prolungati di siccità?
«Documentare con certezza la scomparsa di una specie a livello locale e ancora di più globale è complicato. Richiede anni di osservazioni condotte in modo intenso, ma spesso anche a vuoto, per poter dimostrare con certezza che una specie non si vede perché non c’è più, non perché non si vede. È più complesso documentare un’assenza che una presenza. Non è un tipo di ricerca facilmente finanziata e su cui la comunità scientifica è incoraggiata a lavorare. Alcuni gruppi e colleghi lo fanno, ma sono pochi».
La ricerca sulle specie in estinzione non è facilmente finanziata. Pochi gruppi e colleghi la fanno
Il Wwf pubblica dati sul tasso di estinzione a livello globale e locale.
«Il Wwf fa una stima indicando il grado di minaccia, con una gerarchia da grave rischio a praticamente estinta. Sappiamo, per fare un esempio esotico, che del rinoceronte di Sumatra, una specie dalle caratteristiche emblematiche, sono rimasti una trentina di esemplari in un areale talmente frammentato che non si riproducono più».
La siccità come cambia il tipico paesaggio della Pianura Padana?
«Il paesaggio padano si è modificato nel tempo. La immaginavamo come una grande area agricola con vocazioni diverse, il riso nelle province tra Piemonte e Lombardia, verso oriente la prevalenza del mais. La siccità metterà sempre più in difficoltà questo tipo di produzioni. Al dato climatico si aggiunge l’impermeabilizzazione dei suoli dovuta all’urbanizzazione che, negli ultimi vent’anni, è stata il motore del cambiamento del paesaggio padano».
L’ambiente della Pianura Padana modificato anche dai suoli urbanizzati impermeabili
Quali sono gli impatti economici degli ecosistemi compromessi?
«Il concetto della valutazione economica dei servizi ecosistemici è stato introdotto da alcuni ecologi alla fine degli anni ’90. Un bosco, per esempio, può giocare un ruolo nel regolare il microclima e nel favorire la ricarica delle falde idriche. Il suo valore non può essere dato solo da quanto si ottiene tagliando il legname. Il valore dell’insieme dei servizi ecosistemici è sorprendentemente elevato. Un esempio classico è il beneficio dell’impollinazione delle piante da parte degli insetti selvatici, altre specie in difficoltà sia per il riscaldamento globale sia per la diffusione di prodotti fitosanitari. Molti decisori politici si sono convinti a considerare i benefici economici degli ecosistemi. Ma bisogna stare attenti. Se tutto ha un prezzo e un luogo produce benefici per x milioni, non si può cancellarlo offrendo una cifra di x più y milioni. Si può fare un paragone con l’assicurazione dell’auto, dove ci sono tabelle che definiscono l’entità del risarcimento dei danni. Anche quando facciamo male a una persona ci sono criteri di calcolo. Ma non significa che si possano abbattere i passanti come birilli perché l’assicurazione risarcisce. Anche nel caso dei servizi ecosistemici non possiamo dire: benissimo, cancelliamo questo ambiente perché tanto offriamo di più».
Il valore economico dell’insieme dei servizi ecosistemici è sorprendentemente elevato
Senza taglio dei gas serra i ghiacciai della Lombardia scompariranno, l’Adamello anche nello scenario migliore di rispetto degli obiettivi di riduzione delle emissioni previsti dall’Accordo di Parigi.
«Avremo montagne diverse. I ghiacciai sono parte dell’identità dei luoghi. Saranno più secche, aride, con ulteriori conseguenze sul regime dei fiumi, basato anche sull’alimentazione dai ghiacciai, che si riformavano d’inverno. Il regime delle acque risulterà sconvolto. Tutti gli ecosistemi acquatici e umidi a valle ne risentiranno ancora di più, così come l’agricoltura. Dobbiamo imparare velocemente ad adottare un sistema di irrigazione con meno sprechi. Gli agricoltori più accorti stanno già iniziando a guardare alle esperienze di Paesi da sempre con climi molto più aridi del nostro, come Israele e Tunisia. Fa un po’ impressione immaginare che il Nord Italia si stia avvicinando a queste situazioni, ma è quanto stiamo osservando».
Gli agricoltori più accorti guardano già ai modelli di Paesi più aridi come Israele e Tunisia
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