Eco.Bergamo
Venerdì 19 Maggio 2023
«Eventi estremi sempre più frequenti, urgente prepararsi»
MALTEMPO O CRISI CLIMATICA? «Leggo sempre più spesso l’esigenza espressa da chi è più consapevole, e giustamente preoccupato, del cambiamento climatico in atto di sostituire il termine “maltempo” con il termine “crisi climatica”. Pur comprendendo le motivazioni di questa scelta e la determinazione nell’imporla a chi si occupa di comunicazione, credo che resti un mio dovere, da fisica dell’atmosfera e climatologa, evidenziare come questa variazione lessicale presenti delle lacune profonde dal punto di vista scientifico», osserva Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network, riguardo alla tragica e devastante alluvione in Emilia-Romagna.
«Leggo sempre più spesso l’esigenza espressa da chi è più consapevole, e giustamente preoccupato, del cambiamento climatico in atto di sostituire il termine “maltempo” con il termine “crisi climatica”. Pur comprendendo le motivazioni di questa scelta e la determinazione nell’imporla a chi si occupa di comunicazione, credo che resti un mio dovere, da fisica dell’atmosfera e climatologa, evidenziare come questa variazione lessicale presenti delle lacune profonde dal punto di vista scientifico», osserva Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network, riguardo alla tragica e devastante alluvione in Emilia-Romagna.
Le due alluvioni in Emilia-Romagna eventi meteorologici estremi
«La differenza tra meteo e clima è una differenza di sostanza, da tenere a mente per una corretta comprensione dei fenomeni, qualsiasi essi siano: ondate di caldo, freddo, siccità, nubifragi. Nella scienza non vale tutto, ci sono delle definizioni che vanno rispettate. Le due alluvioni che hanno colpito in sequenza l’Emilia-Romagna sono due eventi meteorologici estremi che non possono da soli stabilire una tendenza climatica, ma che rientrano a pieno titolo all’interno di una tendenza climatica dimostrata da decenni di dati».
Configurazione meteorologica atmosferica quasi bloccata
«Le alluvioni sono avvenute a causa di una configurazione meteorologica atmosferica quasi bloccata sul continente europeo, che, con un’alta pressione stabile a Ovest e un’altra a Est, ha favorito un duraturo periodo perturbato sul Mediterraneo centrale. Due impulsi proveniente dal Nord Africa hanno, in entrambi gli scenari meteorologici, 1° maggio e 16 maggio, innescato la formazione di un centro di bassa pressione, ovvero un ciclone, sull’Italia, convogliando le precipitazioni più abbondanti tra Emilia-Romagna e Marche, e sul medio-basso Tirreno».
Aumento della frequenza degli eventi intensi o estremi
«La combinazione dell’effetto Stau (il fenomeno che si genera quando le correnti atmosferiche si scontrano con le catene montuose, raffreddandosi, ndr) e dei venti insistenti dal mare verso terra ha intrappolato enormi quantitativi d’acqua, 300 millimetri sulle colline del forlivese, 135 nelle pianure adiacenti, in maniera diffusa e non puntuale, su terreni ormai saturi. La crisi climatica è anche questo: un aumento della frequenza dei fenomeni meteorologici intensi o addirittura estremi».
Imparare come comportarsi durante un alluvione
«Le due alluvioni che si sono verificate in Emilia Romagna a inizio e metà maggio sono state causate principalmente dalle elevate precipitazioni, con più di 200 millimetri in 36 ore per entrambi gli eventi. Questi quantitativi sono sicuramente eccezionali se presi singolarmente, ma lo sono soprattutto se si considera che si sono verificati a distanza di soli 15 giorni sullo stesso territorio», spiega Luca Brocca dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr.
Suoli resi duri dalla siccità o prossimi alla saturazione
«Nel caso del primo evento dell’1-2 maggio la siccità ha avuto un ruolo perché i suoli resi duri dal periodo prolungato di non pioggia hanno una minore capacità di assorbire le precipitazioni. Nell’evento di metà maggio, invece, i suoli erano prossimi alla saturazione a causa delle piogge cadute nei giorni precedenti e, quindi, ancora una volta le forti precipitazioni sono infiltrate solo parzialmente e sono andate a ingrossare i corsi d’acqua. In entrambi i casi, il defluire delle acque sia in superficie sia nel sottosuolo verso i corsi d’acqua ha provocato le onde di piena e quindi le esondazioni. In alcune aree le esondazioni sono state aggravate dalle rotture arginali, anch’esse legate alla violenza delle onde di piena, con un aumento dei livelli dei corsi d’acqua di oltre 6 metri in 12-18 ore».
Eventi di tale intensità destinati a provocare esondazioni e danni
«La manutenzione dei corsi d’acqua, così come la costruzione di invasi e vasche di laminazione, può mitigare il rischio di alluvione. Ma eventi meteorologici di tale intensità sono destinati a provocare esondazioni e danni anche in futuro. Non possiamo pensare di eliminare completamente il rischio da alluvioni. L’allerta meteorologica e la protezione civile hanno allertato la popolazione in modo preciso e con netto anticipo in entrambi i casi. È necessario che impariamo a conoscere il rischio alluvionale, come comportarci durante un alluvione e ad essere sempre informati sull’evoluzione dell’evento. Questi comportamenti ci permetteranno di salvaguardare le nostre proprietà e, soprattutto, le nostre vite».
Servono boschi in buona salute, resistenti agli estremi climatici
«Proviamo a fare chiarezza. Certamente gli alberi possono assorbire una parte della pioggia che cade nei bacini montani, per poi ridurre la quantità d’acqua che si scarica verso i fiumi e i fondovalle. In Italia, tuttavia, in montagna non esiste la deforestazione, anzi le foreste nelle montagne italiane stanno aumentando e rapidamente», osserva Giorgio Vacchiano, professore associato di Gestione e pianificazione forestale presso l’Università di Milano. «L’Appennino emiliano-romagnolo ha una quantità di boschi in forte aumento. Quello che può creare realmente dei problemi è la vegetazione morta che rischia di essere trasportata dalla corrente, ostruendo i ponti o altre infrastrutture critiche. Ma questo problema non esiste dappertutto. Boschi in buona salute, ben gestiti e pianificati, che resistono agli estremi climatici e alla siccità, difficilmente producono alberi morti che finiscono nel corso d’acqua. Certo, esistono in molti torrenti e fiumi accumuli di legno morto sulle sponde: questi vanno rimossi solo se sono realmente pericolosi, come a monte degli insediamenti o delle infrastrutture critiche».
Dalla pianificazione forestale un forte contributo alla protezione
«Nei tratti di pianura dei grandi fiumi la vegetazione spondale ha un beneficio importantissimo. Può ridurre l’energia dell’acqua, assorbendo una certa quantità di sedimenti e di legno morto trasportato. Riducendo l’energia dell’acqua, scarica la violenza della piena. Questo effetto non si produce se la vegetazione lungo il fiume manca o se viene sostituita da una vegetazione fragile, instabile, come quella di un bosco abbandonato o la vegetazione esotica invasiva. La pianificazione forestale può dare un forte contributo alla protezione dalle alluvioni, mantenendo a monte foreste sane, che assorbono la pioggia, trattengono il terreno e non producono sedimenti verso il corso d’acqua. E preservando, nei tratti di pianura dei fiumi, le fasce autoctone di vegetazione spondale».
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