«Sì al nucleare, ma le fonti rinnovabili sono l’obiettivo finale»: con queste parole, Giorgio Gori ha introdotto il tema “caldo” del mix energetico italiano e del caro-prezzi dell’elettricità. Gori, già sindaco di Bergamo, parlamentare europeo del gruppo Socialisti e Democratici e vicepresidente della Commissione Itre (Industria, Ricerca e Energia), si è soffermato sulla recente accelerazione impressa dal governo all’adozione del nucleare di nuova generazione e dei reattori modulari.
Energie alternative, nucleare e contratti a lungo termine
L’intervento dell’europarlamentare Giorgio Gori al comitato di eco.bergamo: «Bene riaprire al nucleare dei nuovi piccoli reattori»
Il futuro è rinnovabile, ma occorre guardare anche al nucleare
«Il governo ha recentemente riaperto il dossier del nucleare, con molta cautela - a mio avviso forse fin troppa», ha esordito Gori, commentando l’ipotesi di investimento pubblico da 200 milioni di euro in Newcleo, startup specializzata nei reattori modulari avanzati. L’europarlamentare esprime grande fiducia nell’azienda, spiegando che «ho visitato il loro laboratorio nell’Appennino bolognese, dove stanno eseguendo i primi test sulle nuove tecnologie. Hanno conseguito risultati promettenti: come carburante utilizzano le scorie delle vecchie centrali, riciclando i rifiuti prodotti dagli impianti tradizionali, mentre il raffreddamento è a piombo». Gori è anche convinto che le posizioni dei cittadini italiani sull’energia atomica siano mutate, negli ultimi anni: «L’opinione pubblica è abbastanza matura per sostenere la reintroduzione del nucleare. Nucleare che, però, deve essere diverso dal passato: non più le grandi centrali, quelle che sono state protagoniste dei disastrosi incidenti degli scorsi decenni, bensì i reattori di piccole dimensioni, modulari e che producono meno scorie. Si tratta di tecnologie rivoluzionarie, che abbattono i grandi problemi dell’energia derivata dall’uranio e che possono essere installate quasi ovunque».
La posizione di Delfanti: più cautela
Fiducioso sul nucleare è anche Maurizio Delfanti, docente di Sistemi elettrici per l’energia del Politecnico di Milano, che, però, invita a maggiore cautela: «Il nucleare è una fonte energetica certamente interessante e che deve essere presa in considerazione per il nostro mix energetico, ma occorre fare attenzione. Chi oggi dice che l’atomico e le nuove tecnologie permetteranno di abbattere i costi delle bollette adotta una prospettiva scientificamente molto coraggiosa, fa una scommessa ambiziosa». L’esperto, inoltre, non crede che il nucleare ci permetterà davvero di ottenere l’indipendenza energetica: «Chi dice che l’atomo ci porterà all’autosufficienza e alla sicurezza energetica si sbaglia. I fornitori delle materie prime e del combustibile nucleare non si trovano certo in Italia o in Europa. Sono Paesi lontani, alcuni tutt’altro che amici. E anche quelli che oggi sono nostri alleati potrebbero smettere di esserlo in futuro». Infine, Delfanti ridimensiona i vantaggi economici connessi al nucleare: «I prezzi restano tutti da esplorare. I primi prototipi di reattore modulare arriveranno tra cinque o sei anni: se quei dispositivi riusciranno a raggiungere costi vicini agli 80-90 euro per Megawattora (contro i 120 attuali), potremo riaprire una discussione seria sulla reintroduzione del nucleare. Fino ad allora, invece, occorre continuare a investire nella ricerca sulla fusione e nella prototipazione. Bene continuare a sperimentare e innovare, ma queste prospettive sono tutt’altro che certe e non possono distoglierci dal nostro obiettivo principale: quello dell’adozione su larga scala delle fonti rinnovabili».
Un mix energetico bilanciato
L’energia del futuro, secondo Delfanti, resta infatti quella rinnovabile, dal solare all’eolico e dal geotermico all’idroelettrico. Giorgio Gori è della stessa idea: «Ammesso che il governo perseveri nella sua politica sul nucleare, ci vorranno 10-15 anni perché le prime centrali di nuova generazione entrino a regime. Per questo, parlare di rinnovabili è ancora importantissimo. Ed è ancora più impellente se guardiamo, oltre alle questioni climatiche, al tema dell’autonomia e dell’indipendenza strategica. Negli ultimi mesi ci siamo liberati dalla dipendenza dalla Russia per le forniture di gas, ma ci siamo messi nelle mani delle milizie libiche: in un mondo sempre più diviso e conflittuale, l’Europa deve guardare a tutte le fonti energetiche. Non abbiamo combustibili fossili nel sottosuolo, ma possiamo sfruttare il sole, il vento, l’acqua e il calore della terra». Secondo il vicepresidente della commissione Itre, infatti, qualsiasi fonte riesca a rendere più variegato il mix energetico italiano e dell’UE va studiata approfonditamente: «Autonomia energetica e diversificazione sono fondamentali, rappresentano due facce della stessa medaglia: le oscillazioni dei prezzi dell’energia lo dimostrano. Finché saremo dipendenti dai combustibili fossili e dai Paesi che li estraggono, continueremo a pagare cara l’elettricità. Dovremmo invece guardare agli Stati confinanti, dove le bollette sono più basse: prendiamo esempio dalla Francia, con i suoi progetti di nucleare civile, e dalla Spagna, che presenta un mix energetico fondato sulle rinnovabili, a partire da solare e idroelettrico, insieme a un 20% del fabbisogno di derivazione nucleare».
La strada da seguire, per Gori, è quella di «andare più dritti possibile sulle fonti rinnovabili, senza disdegnare il nucleare». Il vero scoglio da superare, al momento, è però quello normativo: «Esiste una difficoltà nota nell’ottenere i permessi per gli impianti rinnovabili, con una normativa che è stata essenzialmente delegata dal Governo alle regioni. Sono state le regioni a individuare le aree idonee, con una discrezionalità molto ampia che genera anche qualche caso paradossale. Il più evidente è quello della Sardegna: sull’isola si potrebbe fare tantissimo per la produzione di energia rinnovabile, ma la regione ha deciso che il 99% del suo territorio non è idoneo ai sistemi basati su solare ed eolico per ragioni paesaggistiche». Tuttavia, l’implementazione su larga scala delle fonti energetiche rinnovabili non può più essere posticipata: «Più puntiamo sulle rinnovabili, meno dobbiamo rivolgerci a petrolio e gas per la generazione di elettricità e calore. Il che significa costi ridotti, meno inquinamento e un’indipendenza energetica incrementata».
Lo Stato garante delle forniture di energia
E proprio l’aumento dei prezzi dell’energia è stato uno dei temi più dibattuti del comitato. D’altro canto, i dati pubblicati a fine dicembre dalla Camera di Commercio di Bergamo dicono che il prezzo dell’elettricità è aumentato del 2,3% per l’industria, del 4,3% per l’artigianato, del 6,5% per i servizi e del 6,7% per il commercio al dettaglio: un ulteriore rincaro, che si somma a quello «monstre» del 2022, quando l’incremento medio dei costi di elettricità e gas viaggiava tra il +30% e il +50% per quasi tutti i settori, con un picco del +91% nelle forniture di gas per la manifattura. «Le aziende chiedono prezzi energetici più bassi e meno volatili», ha dichiarato Giorgio Gori. «Per raggiungere questo obiettivo, le vie sono due: in primo luogo dobbiamo guardare ai casi virtuosi, come quello del mix energetico spagnolo, che garantisce prezzi delle bollette quasi dimezzati rispetto ai nostri. Poi dobbiamo puntare sui contratti di fornitura a lungo termine, come i Power Purchase Agreement (PPA) e i contratti per differenza, che richiedono una compravendita diretta tra chi produce e chi consuma e che non risentono delle oscillazioni giorno per giorno del mercato “spot”. Si tratta di contratti che possono durare fino a 15 anni e che richiedono una fiducia tra le due parti che firmano l’accordo: chi vende l’energia scommette che il compratore onorerà la sua parte di contratto per tutto questo tempo; chi la compra, invece, punta sul fatto che il prezzo dell’elettricità resterà sempre alto».

(Foto di Gian Vittorio Frau)
Il grande problema dei PPA, nonché il maggior freno alla loro diffusione, è proprio la fiducia reciproca tra i loro contraenti. Per questo, l’UE vuole superare le reticenze che permangono attorno a queste forme di contratto. «Ho portato al Parlamento europeo una risoluzione sulle industrie energivore che chiede alla Commissione europea e ai governi di attivare delle garanzie pubbliche per rendere più forte la relazione fiduciaria tra produttori e consumatori di energia, in modo da superare le titubanze delle imprese e degli operatori energetici. Se dietro alle spalle delle imprese c’è un garante pubblico - in Italia potrebbe essere il GSE - che continua ad acquistare o a vendere energia al prezzo pattuito anche quando l’altra parte decide di non onorare il PPE, si genera una tranquillità di mercato attorno ai contratti di fornitura a lungo termine, che è indispensabile per vederli svilupparsi compiutamente», conclude Gori.
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