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Ritorno alla saggezza per ricominciare ad essere umani

L’intervista a Simone Migliorati che indica la strada per ridurre il grado di artificialità della vita. Il monito: «Dobbiamo uscire dall’ottica di essere “padroni” del pianeta e ritornare a considerarci “ospiti”».

Riconnetterci alla Semplicità della Natura, dentro e fuori di noi; ridurre, per quanto possibile, il grado di artificialità che si è impossessato, a tutti i livelli, delle nostre vite, per ritrovare una felicità ugualmente semplice, bellezza e gioia del momento presente. Il mito rousseauviano del ritorno alla Natura, in tempi di Ia e iperconnessione.

Simone Migliorati, educatore ambientale e pedagogista. Nato a Clusone, vive a Piazza, frazione di Sovere. È pedagogista (laurea magistrale in Scienze pedagogiche) ed educatore professionale socio pedagogico riconosciuto dall’Associazione pedagogisti educatori italiani. È laureato in Filosofia (Bachelor of Philosophy) alla Harris University della Florida ed educatore ambientale.

«La via semplice» (Phanes Publishing, 2024) è un libro del bergamasco Simone Migliorati, che, dopo un’infanzia-adolescenza immerse nella natura, ha provato ad inserirsi in una dimensione professionale-adulta-cittadina, ma ha scelto di ritrarsene, per tornare alle origini.

Simone, il sottotitolo del suo libro recita: «Ritornare alla Saggezza della Natura e degli Animali per ricominciare ad Essere Umani». È possibile, concretamente?

«Non solo è possibile, oggi più che mai è l’unica via da percorrere per cambiare rotta. Ce lo stanno chiedendo il Pianeta, la Natura e lo stesso Animale Umano. Certo, dobbiamo cambiare paradigma e modo di porci nei confronti dell’Ambiente».

Sul tema dell’imperfezione, come inscindibilmente connessa con la Natura, lei sottolinea, giustamente: «Non ho mai visto un fiore scegliere di non mostrarsi perché aveva un petalo diverso dagli altri, imperfetto, oppure una foglia cadere dall’albero perché “imperfetta” nelle sue venature». Ma, di nuovo, è possibile togliersi di dosso secoli e secoli di culto dell’apparire al proprio meglio?

«Davvero abbiamo bisogno che il mondo ci veda per ciò che non siamo? Forse il “male di vivere” che stiamo incontrando in questi tempi, dal vorticoso aumento delle certificazioni, sin dalla più tenera età, ai disturbi del comportamento alimentare, al fenomeno degli Hikikomori, ci stanno raccontando che così non va bene. Serve tornare a riappropriarsi di una dimensione di Essere e Sentire e abbandonare quella dell’Apparire».

Come la sua riflessione affronta il tema, già freudiano e marcusiano, della necessità di misurarsi con il corpaccio della civiltà-società, gli obblighi, le finzioni, gli artifici, la gestione innaturale degli istinti, la capacità di incanalarli, frustrarli, gestirli, che ciò comporta…?

«Serve trovare una giusta mediazione. L’Animale Umano si è evoluto e ha ottenuto moltissimo dal punto di vista delle scoperte: come nel libro viene raccontato, spesso queste derivano proprio dal processo di ibridazione con la Natura. Ovvio che non stiamo auspicando un ritorno alle origini, in cui scienza e civiltà erano agli albori, ma ora che abbiamo sperimentato i due opposti serve trovare una mediazione, almeno qualche contesto in cui semplicemente essere chi sentiamo di essere».

Lei indica sistematicamente il funzionamento mentale degli animali non umani come molto più efficace nel garantire autenticità, nel cogliere l’hic et nunc, la Bellezza del momento presente. Si potrebbe obiettare che il cervello umano sia troppo complesso per stare in una dimensione così puramente istintuale, tutta versata nell’attimo, nel presente: lei stesso parla di «cervello ipertrofico». Sorge l’idea che siamo un’altra cosa, non si dice migliore o peggiore, proprio in quanto umani…

«Sì, siamo un’altra cosa e non sta a noi stabilire se migliore o peggiore. In quanto Umani siamo portati a complicare, a dover sempre aggiungere “cose” su ciò che stiamo esperendo, sulle relazioni, su noi stessi. Tutte queste sovrastrutture ci “fanno scappare” dal tanto decantato Hic et Nunc che per gli Animali non Umani è così immediato e semplice. Farsi Natura in questo contesto significa lasciarsi andare alla bellezza della Semplicità e della Leggerezza che non sono qualcosa da evitare o una banalizzazione della realtà».

Perché, dopo un più canonico tentativo di inserirsi nei consueti percorsi professionali, e conseguente immersione in una vita più metropolitana, è tornato a contesti più naturali, vicini a quelli della sua infanzia? Ora come vive?

«Mi stavo perdendo, mi sono accorto che allontanarmi da quella Natura che tanto mi aveva dato durante l’infanzia stava togliendo ossigeno alla mia anima. Non c’è stato nulla nella “civiltà” che mi abbia respinto, c’è stato piuttosto un richiamo fortissimo da parte della mia Natura».

Il suo inno alla Semplicità, pur con molte differenze, può richiamare alcuni tratti di «Perfect Days» di Wim Wenders. Saper cogliere la felicità dall’osservazione degli alberi, del cielo, da una vita semplicissima fatta di un lavoro umile ma eseguito con scrupolo, dedizione e amore….

«È esattamente ciò di cui l’Animale Umano ha bisogno oggi. Tornare ad agire con attenzione, dedizione ed amore, con osservazione e Presenza al qui ed ora».

«Dimenticarsi di Essere Animali significa dimenticarsi di essere Umani...». Che cosa intende? E che cosa pensa delle teorie di tanti umanisti, e non solo, che esaltano la superiorità dell’uomo su ogni altro animale?

«Non credo che l’Animale Umano sia superiore, non credo in una visione del mondo Egocentrica, in cui l’umano è al vertice. Vedo piuttosto una visione ecocentrica, a forma di cerchio, in cui tutti hanno la medesima importanza».

A che proposito parla di «rovinoso intervento umano»? In che cosa ci siamo disastrosamente distaccati dalla Natura?

«Dobbiamo uscire dall’ottica di essere “padroni” del pianeta e ritornare a considerarci “ospiti”. Rimuovere il pensiero assolutamente mendace di poter dominare la Natura che, quando vuole, sa riprendersi i suoi spazi, in maniera anche cruenta. Riconnetterci con la Natura significa tornare a contatto con essa, osservandola, ascoltandola e non dominandola».

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