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Il rispetto per l’ambiente passa dalle donne

L’intervista all’attivista ed ecologista Luisa Carminati: «A Bergamo servono più spazi verdi e meno traffico: respiriamo aria e clima malati non più tollerabili»

Nel saggio «Un femminismo decoloniale», edito da Ombre Corte nel 2020, la politoga e attivista francese Françoise Vergès sostiene che non ci possa essere femminismo «senza interesse alla questione ambientale, allo sfruttamento, alla vulnerabilità di classe ed al razzismo; che non agisca in modo condiviso con altri movimenti a favore della decostruzione dell’attuale sistema». Quindi un «ecofemminismo» – termine che compare per la prima volta nel 1974 nel testo di Françoise d’Eaubonne «Le féminisme ou la mort» – che si può riassumere con un concetto semplice ma chiaro: non rispettare una donna significa non rispettare l’ambiente. Il patriarcato, infatti, è il comune denominatore dello sfruttamento delle risorse del pianeta e delle donne: contro questo sistema, per l’autrice, non ci sono alternative: «il femminismo o la morte» appunto.

Alla Cop29, la Conferenza sui cambiamenti climatici tenutasi a Baku nel novembre scorso, il nesso tra genere e clima è stato nuovamente portato all’attenzione internazionale, dopo la Cop28 di Doha che aveva introdotto per la prima volta nella storia una giornata dedicata al tema. L’Onu, infatti, valuta che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe ridurre fino a 158 milioni di donne e bambine in condizioni di povertà e 232 milioni in condizioni di insicurezza alimentare. Dati evidenziati anche nel report «The Unjust Climate», redatto l’anno scorso dalla Fao, che sottolinea l’urgenza di ottenere maggiori risorse finanziarie e attenzione sulle politiche internazionali legate al genere e all’inclusività.

In occasione della Giornata internazionale della donna, che si festeggia in tutto il mondo l’8 marzo, abbiamo intervistato su questi temi Luisa Carminati, femminista e attivista bergamasca, componente di diverse associazioni e organismi istituzionali.

Come si è avvicinata all’ecofemminismo?

«Far parte del movimento femminista mi ha permesso di allargare lo sguardo su molti temi. Mi sono avvicinata all’ecologia con il disastro di Seveso, avvenuto nel 1976 nell’azienda chimica svizzera Icmesa, e di Chernobyl nel 1986, mentre il libro “L’ecofemminismo in Italia”, scritto da Laura Cima e da Franca Marcomin, mi ha consentito di dare delle risposte a delle domande fino al quel momento in sospeso. Penso prima di tutto al tema della cura, non solo delle persone ma soprattutto del territorio in cui viviamo».

Ecologia e femminismo trovano terreno fertile e comune a partire dagli anni Settanta. Perché questo legame è vincente?

«Le associazioni ambientaliste si sono sviluppate nel corso della seconda metà del XX secolo, ma solo con l’incontro con il pensiero femminista hanno potuto realizzarsi appieno. Questo perché il femminismo chiede di praticare una cura e un’attenzione verso tutto ciò che ci circonda: le persone, gli animali e l’ambiente, lavorando in sinergia per migliorare la qualità della vita, cercando il benessere ma senza stravolgere la natura e tutto ciò che ne fa parte».

Il report «Global gender and climate alliance» ha sottolineato che l’80% delle persone sfollate a causa di eventi climatici estremi nel mondo è donna. La crisi climatica non solo incide sulle disuguaglianze economiche, ma evidenzia anche una marcata differenza di genere.

«In ogni crisi le donne sono le prime a perdere il lavoro, l’accesso ai servizi pubblici e, nei Paesi più poveri e a causa delle forti disuguaglianze, spesso sono costrette ad abbandonare gli studi e lottano per avere accesso alle risorse primarie, come cibo, acqua e cure sanitarie. La crisi climatica acutizza queste forti criticità e mette le donne sempre più in un angolo».

Che cosa possiamo fare per migliorare la nostra attenzione sui temi dell’ambiente e del femminismo?

«Le parole d’ordine devono essere partecipazione e conoscenza. Noi cittadine e cittadini dobbiamo interessarci della nostra città attraverso gli organismi istituzionali o le numerose associazioni locali. In questi anni a Bergamo stanno crescendo e maturando le reti di quartiere . Conoscere dove viviamo è essenziale per capire come poter migliorare il nostro ambiente: ognuno di noi deve fare la propria parte per un presente e un futuro migliori».

Bergamo ha fatto la sua parte o potrebbe fare di più?

«Sicuramente l’amministrazione comunale e molte associazioni – penso a Legambiente, Wwf, Italia Nostra e il Consiglio delle Donne – hanno lavorato bene. Ho l’impressione, però, che si sia fatto ancora troppo poco rispetto a quello che una città dovrebbe offrire. Penso, ad esempio, a maggiori spazi verdi e a politiche serie di mobilità per ridurre il traffico: respiriamo un’aria malata e un clima non pulito che non possiamo più tollerare. Inoltre penso che non ci sia bisogno di un assessorato specifico alle Pari opportunità: la questione di genere dovrebbe plasmare, a prescindere, tutti gli assessorati. C’è ancora molto su cui lavorare».

Dopo 78 anni, Bergamo ha eletto l’anno scorso la sua prima sindaca, Elena Carnevali. Come sta lavorando, a suo giudizio, sui temi legati all’ecofemminismo?

«Per cambiare le cose non sono sufficienti alcuni mesi di lavoro, ma anni. Spero che al termine del suo mandato ci siano dei risultati positivi da commentare. È importante, però, che ci sia una donna come sindaco, è un segno di cambiamento profondo e significativo. Mi auguro che la sindaca dimostri di avere un pensiero femminista: non è automatico che tutte le donne, soprattutto quando ricoprono ruoli così importanti, usino un’attenzione femminile nelle loro scelte».

Nata nel 1944 e laureata in Scienze della Formazione all’Università di Bologna, Luisa Carminati è stata redattrice di una rivista per educatrici ed educatori. Negli anni Settanta in un collettivo femminista, è stata promotrice del Consiglio delle Donne di Bergamo. Oggi per l’associazione Donne per Bergamo segue una scuola di alfabetizzazione per stranieri.

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