Per gli animali selvatici che vivono sulle Orobie l’inverno è da sempre una stagione difficile, sia per il freddo, anche se si adattano bene alle variazioni delle temperature delle alte quote, sia per la carenza di cibo del periodo.
Cambiare o migrare: così la fauna selvatica sopravvive alla stagione
L’inverno è una stagione difficile per gli animali selvatici (sulle Orobie) e per affrontarlo serve una strategia. Alcuni vanno in letargo, altri mutano il manto
Per affrontare questi mesi, come osservano gli esperti, gli animali adottano delle strategie.
Alcuni adeguano la propria fisiologia, il proprio aspetto e i propri comportamenti alla nuova condizione; altri, invece, migrano lontano. Ma ci sono anche situazioni intermedie, che prevedono brevi spostamenti in zone più favorevoli: i cervi e i gracchi alpini, per esempio, scendono a valle dalle alte quote. Chi ne ha l’opportunità lascia il freddo delle montagne per migrare a sud, verso zone più calde, soprattutto gli uccelli come le rondini, i balestrucci, i succiacapre, i , i nibbi bruni, gli usignoli, i cuculi e altri. L’aquila reale, il merlo, il tordo, la cincia e il fringuello rimangono, invece, sul nostro territorio. Alcuni animali, come le marmotte, i tassi, i ricci e i ghiri, diminuiscono l’attività vitale e si mettono a dormire al riparo del maltempo nelle tane sottoterra o nelle cavità degli alberi.
Meno visibili con la neve
L’inverno, per gli animali selvatici che rimangono svegli, è il periodo durante il quale cambiano anche aspetto, per non essere troppo visibili in presenza della neve, e utilizzano strategie ben precise. Gli scoiattoli si vedono meno rispetto all’estate e si confinano nelle proprie tane, sfruttando le scorte di cibo messe da parte. C’è poi chi lotta sempre per la propria sopravvivenza, come le volpi e i lupi.
Uno degli adattamenti al clima invernale è ottenuto con la muta, cioè la sostituzione del manto estivo con un soffice e folto mantello invernale, dalla diversa colorazione allo scopo di renderlo il più possibile mimetico ai predatori: un requisito importante offerto dall’evoluzione delle specie per salvarsi. Tra gli animali specializzati nel mimetizzarsi con l’ambiente ci sono tre specie che, da una colorazione bruna o bruno-grigiastra in estate, diventano completamente bianche in inverno, così che individuarle nelle praterie alpine innevate è quasi impossibile per i predatori come l’aquila reale e altri rapaci diurni, la volpe, la martora e altri mustelidi, i rapaci notturni come la civetta capogrosso, la civetta nana e il gufo reale. In particolare, la pernice bianca è l’unico uccello alpino, delle dimensioni di un piccione, ad avere le ali interamente bianche: la specie, di cui è stata accertata la presenza in Valle Seriana qualche anno fa da censimenti eseguiti dal Comprensorio Alpino di Caccia, non è cacciabile. In estate il resto del corpo è grigio o brunastro, mentre in inverno la livrea è totalmente candida, con l’eccezione delle penne esterne della coda che sono nere. In inverno pernice bianca e gallo forcello adottano lo stesso accorgimento durante la notte: per ripararsi dal vento e dal freddo scavano spesso dei ricoveri sotterranei nella neve, detti «trune», dai quali escono al mattino. L’ermellino ha la caratteristica di cambiare il colore della sua pelliccia a seconda della stagione: in estate è bruno-rossastro nella parte superiore del corpo e bianco con sfumature giallastre e nere nella parte inferiore, mentre la punta della coda è nera. D’inverno, invece, la sua pelliccia diventa totalmente bianca, ad eccezione della punta della coda che rimane sempre nera. Anche le lepri variabili, dette anche lepri bianche, cambiano colore a seconda della stagione sotto lo stimolato della temperatura, passando dal bianco candido dell’inverno al bruno-rossiccio dell’estate.
Non spaventare gli animali
Gli ungulati come caprioli, cervi, camosci e stambecchi si adattano a mangiare quello che trovano, erba secca, ramoscelli di arbusti, licheni, talvolta anche la corteccia di giovani piante, cibo povero per avere un minimo di energie utili a sopravvivere all’inverno.
Tra i mammiferi l’unico a trascorrere l’inverno in quota scegliendo aree assolate, scoscese, con elevata pendenza, dove la neve non si accumula, è lo stambecco, il cui mantello cambia da beige o bruno chiaro in estate a un colore tendente al bruno scuro d’inverno. Anche il mantello del camoscio cambia e molto, da bruno-rossiccio in estate a bruno scuro-nerastro d’inverno, con pelo lungo, morbido e folto in grado di assorbire i raggi solari e garantire una preziosa fonte di calore. Il capriolo e il cervo passano dal rosso-bruno al bruno-grigiastro o bruno scuro, molto mimetico con i tronchi degli alberi.
Riguardo all’accumulo di scorte, la nocciolaia è la più brava: in autunno frequenta noccioleti e cembrete volando senza sosta per raccogliere grandi quantità di nocciole e semi. In ogni viaggio trasporta decine di semi, raccolti nel gozzo, per nasconderli all’interno di buche scavate nel terreno, almeno mille in autunno, e ricoprire accuratamente. La sua eccezionale memoria visiva l’aiuta a ricordare la maggior parte delle zone in cui ha sepolto i semi per sfamarsi d’inverno. Questa attività è importante anche per il pino cembro, che nasce grazie a scorte di semi dimenticati dalla nocciolaia anche in quota.
D’inverno è bene non disturbare gli animali, individuabili da tracce, orme, impronte: se spaventati, fuggirebbero, disperdendo energie. Durante escursioni invernali, in caso di incontri ravvicinati con la fauna selvatica, restare in silenzio e allontanarsi, osservando da lontano con un binocolo o un cannocchiale. Ricordiamoci anche che gli animali sono in perfetto equilibrio con l’ambiente in cui vivono: qualsiasi azione esterna non è necessaria, bensì si può rivelare addirittura pericolosa.
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