Lyndon Johnson, presidente degli Stati Uniti d’America dal 1963 al 1969, dichiarò: «La nostra generazione ha alterato la composizione dell’atmosfera su scala globale bruciando combustibili fossili».
Il rifiuto della scienza per tagliare le regole
L’emergenza climatica è una delle questioni più urgenti e complesse del nostro tempo, ma non tutti i leader politici sembrano trattarla con la serietà che merita. Donald Trump torna alla Casa Bianca con chi sostiene tesi alternative e complottiste, sollevando preoccupazioni in chi vede l’azione immediata come indispensabile
Già sessant’anni fa l’origine antropica del riscaldamento globale e dei conseguenti cambiamenti climatici era sul tavolo della Casa Bianca. Donald Trump, rieletto dopo il primo mandato del 2017-2021, non se ne preoccupa affatto e ha annunciato che porterà di nuovo gli Stati Uniti fuori dall’Accordo di Parigi, nato per contenere l’aumento delle temperature tagliando le emissioni di gas serra, e ritornerà senza nessun limite all’estrazione, per la verità mai interrotta, di combustibili fossili.
Nell’intervista (link all’intervista), l’economista Leonardo Becchetti ci parla del prevalere degli interessi di breve termine, ma ci ricorda che la transizione ecologica ha camminato anche durante il primo mandato Trump: «I fattori che inducono a sperare sono tecnologia e mercati. Le rinnovabili sono il modo meno costoso di produrre energia e le innovazioni continuano ad abbassare i costi e ad aumentare la resa». L’anno scorso il 90% della nuova capacità di produzione di energia installata nel mondo è stato da fonti rinnovabili.
Quando il nemico è lo Stato
Le nomine di Trump ai vertici della sanità americana segnano la riscossa delle tesi alternative e complottiste (anche sul coronavirus).
Lo sfondo è la corrente ideologica che, nei periodi più bui della pandemia, sosteneva come l’emergenza non fosse costituita dal dilagare di un virus nuovo con vittime in tutto il mondo ma dalle misure assunte per contrastarlo, perché comportavano una «costrizione statale» sulla vita privata. Insomma il nemico non era un agente patogeno, ma lo Stato. L’idea è un mondo senza regole dove, finché riesce, il più forte prevale, mentre tutti gli altri si arrangiano. Anche sull’ambiente la linea seguita ha questa motivazione di fondo.
Gli Stati Uniti contano la percentuale maggiore di emissioni cumulate di CO2 nell’atmosfera, ben il 27%, e ancora nel 2023 una media pro capite annuale di 14,3 tonnellate rispetto alle 5,3 di un italiano e alle 2,1 di un indiano: uno stile di vita dispendioso e deleterio per l’ambiente. Non lo si vuole cambiare e si intende liberarsi dai propri doveri internazionali.
Accordi internazionali?
Le conferenze dell’Onu reggono se i Paesi più ricchi ammettono le proprie maggiori responsabilità e aiutano quelli più poveri: sul fronte del clima, per la transizione energetica, l’adattamento, le perdite e i danni già subiti. Il tema della finanza è stato al centro dell’ultima conferenza a Baku (link all’intervista), ma è fondamentale anche per la trattativa sulla biodiversità, di cui si è discusso infruttuosamente a Cali e si tornerà a parlare a Roma a febbraio. Anche per la plastica a Busan, in Corea del Sud, i tentativi di raggiungere un accordo internazionale sono falliti: i Paesi del petrolio, materia prima per produrla, non vogliono regole troppo stringenti. In questo caso, l’obiettivo del trattato è stabilire le norme per evitare il più possibile che la plastica contamini gli ambienti e se ne faccia un uso non responsabile, visto che, a livello globale, oggi meno del 10 per cento è riciclato.
Gli accordi multilaterali tra gli Stati sono l’unico modo per affrontare la crisi ecologica e climatica, così come i conflitti che angosciano il mondo, assumendo impegni efficaci che si possano monitorare in modo permanente. La logica del massimo profitto con il minimo costo è di ben corto respiro. Il mondo delle imprese, ci ricorda in un’intervista il climatologo Gianluca Lentini (link all’intervista), ha la chiara consapevolezza che la transizione ecologica non sarà a buon mercato ma a medio e lungo termine convenga moltissimo.
Tornare indietro, alla fine, non giova a nessuno.
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