Transizione tra tecnologia e mercati rinnovabili convenienti

Intervista all’economista Leonardo Becchetti. Tra il ritorno di Trump e la transizione ecologica che è ormai un processo irreversibile che limiterà i danni a noi, al pianeta e alle generazioni future. Le fonti pulite sono il modo meno costoso ed efficiente per produrre energia. Infine, l’Italia e i progressi significativi nei settori ad alta intensità energetica.

Donald Trump ha vinto nettamente le elezioni americane e torna alla Casa Bianca. Non solo, ha confermato che porterà di nuovo gli Stati Uniti fuori dall’Accordo di Parigi e ritornerà senza nessun limite all’estrazione, per la verità mai interrotta, di combustibili fossili.

Ne parliamo con un autorevole economista, Leonardo Becchetti. «Trump e la destra in generale – ha scritto il professore – sanno interpretare meglio le istanze e le paure di quella parte importante della popolazione che negli ultimi anni ha subito gli effetti dell’inflazione, una tassa regressiva perché ha colpito soprattutto i prezzi dell’energia e dei beni alimentari, che rappresentano una quota maggiore nella spesa dei redditi mediobassi».

Perché i benefici non solo ecologici ma anche economici della transizione ecologica non sono riusciti a far breccia nell’elettorato? L’Inflation Reduction Act di Joe Biden, un piano di investimenti da 740 miliardi di dollari, prevedeva fondi ingenti per le tecnologie verdi e ha creato molti posti di lavoro. E gli Stati Uniti sono sempre più colpiti da eventi estremi, come i recenti uragani devastanti Milton ed Helene: eppure gli americani hanno dato ancora credito, a larga maggioranza, a chi definisce il riscaldamento globale «una bufala». Almeno all’adattamento dovranno continuare a pensare.

«Si parte da lontano, ovvero da quel fenomeno di rifiuto dell’autorità scientifica che ha già fatto breccia sui social ai tempi della pandemia con i no-vax. A mio avviso, c’è anche un aspetto psicologico. Ovvero un meccanismo di rimozione di fronte a qualcosa di spiacevole che non si vuole ammettere: il riscaldamento globale e il rischio per il nostro futuro e per il futuro del pianeta. Buttarsi tra le braccia di chi dice che il problema non esiste ha l’effetto confortante di rimuovere una situazione di timore e di angoscia. Il negazionismo come antidoto dell’eco-ansia. Sull’adattamento convengono anche i negazionisti. Non sapendo neanche che si tratta di uno dei due pilastri della transizione ecologica, mitigazione ed adattamento. Il loro ragionamento è che la colpa di quello che accade è solo dell’incuria dell’uomo e non dell’aggravamento dei fenomeni climatici estremi. Non dobbiamo mai dimenticare che, quando parliamo di negazionismo negli Usa, ci riferiamo a circa il 15% della popolazione. Che sui social, per effetto di bot e indirizzi virtuali, si gonfia e sembra raggiungere una proporzione molto più elevata. Se si fosse votato solo sul clima, avrebbe vinto un candidato pro transizione».

Ci saranno conseguenze anche in altri Paesi? L’Argentina di Milei ha ritirato la sua delegazione dalla Cop di Baku. Qual è il futuro della transizione ecologica nel mondo? Perché una crisi che riguarda tutti ed è da affrontare con la diplomazia internazionale e la concertazione tra le parti sociali tende a polarizzarsi politicamente? A chi giova?

Un eventuale disastro climatico non distinguerebbe tra scettici e non, ma colpirebbe tutti. Nessuno pertanto ha interesse a fermare la transizione. Alcune forze politiche hanno ritenuto preferibile assecondare le paure di chi teme che i costi della transizione ricadano sulle spalle dei più deboli. Il famoso slogan dei gilet gialli era “voi pensate alla fine del mondo, noi alla fine del mese”. Lo “shortermismo”, il prevalere degli interessi di breve termine, è un altro fattore che pesa. Milei ha anticipato quello che probabilmente farà Trump. Dobbiamo ricordare, però, che la transizione ha camminato anche durante il primo mandato Trump. I fattori che inducono a sperare sono tecnologia e mercati. Le rinnovabili sono mature e sono il modo meno costoso di produrre energia e le innovazioni continuano ad abbassare i costi e ad aumentare la resa. Lo scorso anno il 90% della nuova capacità di produzione di energia installata nel mondo è stato da fonti rinnovabili. Contiamo anche sul fatto che negli Stati Uniti, come d’altronde anche in Italia che non è uno Stato federale, molte decisioni sono prese a livello regionale. La California e il Texas, lo Stato dei petrolieri, sono all’avanguardia nella crescita delle rinnovabili e non si fermeranno.

Anche in Europa il Green Deal è sotto attacco. Ursula von der Leyen, confermata per un secondo mandato alla guida della Commissione europea, ha ribadito gli obiettivi della transizione ecologica, annunciando che il Green deal si evolverà nel «Clean industrial deal» per «riconciliare protezione del clima ed economia prospera». A giudizio di Mario Draghi, per far ripartire l’Europa servono 800 miliardi l’anno, il doppio del Piano Marshall. Ce la faremo? Lei ha affermato che il bello della transizione energetica è che sarà spinta dall’iniziativa privata e non dall’inventiva del settore pubblico. Prevale ancora davvero, nell’iniziativa privata europea e, in particolare, italiana, la spinta alla transizione energetica?

Gran parte della transizione è sospinta dai privati. Famiglie e imprese hanno interesse a muovere verso le rinnovabili, ma sarebbe sbagliato trascurare l’importanza del ruolo delle istituzioni pubbliche, soprattutto in alcuni ambiti. La crescita dell’auto elettrica è stata molto forte in due Paesi, Norvegia e Cina, dove le politiche pubbliche hanno accompagnato la transizione. L’efficientamento energetico degli edifici non si ripaga per i privati e le famiglie: gli incentivi, anche se non così generosi come con il superbonus, sono fondamentali. Il potenziamento e la manutenzione della rete, inoltre, sono essenziali. Basti pensare che in Italia, ormai, ci sono due milioni di produttori di energia, anche con piccoli o piccolissimi impianti.

Giorgia Meloni, intervenendo alla Cop di Baku, ha ribadito che l’Italia intende continuare a fare la propria parte, ma non ha annunciato nuovi impegni significativi: ha solo menzionato quelli già presi e ha parlato poi di fusione nucleare, le cui tecnologie sperimentali per la produzione di energia, anche nelle ipotesi più ottimistiche, saranno disponibili troppo tardi. Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, ha dichiarato che la decarbonizzazione italiana va di pari passo con la produzione di energia a prezzi competitivi. Qual è il suo giudizio sulle politiche del governo in materia?

La crescita delle rinnovabili in Italia sta proseguendo in linea con gli obiettivi del Pniec (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, ndr). La crescita del nucleare – già consumiamo abbondantemente quello francese – come strategia per la decarbonizzazione in Italia ha moltissime incognite: bisognerebbe superare la resistenza dell’opinione pubblica, i tempi di costruzione di una centrale sono attorno ai 10 anni, le nuove tecnologie di cui si parla, ad esempio i “micro-reattori”, non si prevedono operativi prima del 2030. E noi nel 2030 dobbiamo avere quasi risolto il problema. Dobbiamo spingere al massimo su quello che già c’è e conosciamo, e non chiuderci alla possibilità di un apporto futuro del nucleare. Ma non possiamo fondare tutto su qualcosa che ancora non c’è e non si sa se sarà costruito in tempo.

Obiettivamente ci sono comparti industriali difficili da decarbonizzare, dove il gas, in particolare, dovrà continuare ad avere un ruolo ancora a lungo. E nelle case che limiti ci sono all’elettrificazione del riscaldamento? Conviene davvero, passando dalla caldaia a gas alla pompa di calore, tagliare la bolletta del metano e aumentare quella dell’elettricità? In Italia l’onere fiscale sull’elettricità è maggiore di quello sul gas: è possibile che la tassazione sia ripensata?

Nei settori energivori il nostro Paese sta facendo progressi importanti ed è in linea più che su altri obiettivi con i traguardi del 2035. L’iniziativa più recente è la legge che mette in campo incentivi importanti, come il blocco a prezzi modici della bolletta energetica se le aziende energivore aumentano il loro grado di autonomia attraverso impianti di produzione da rinnovabili. Il passaggio alle pompe di calore è essenziale non solo dal punto di vista delle emissioni ma anche da quello dell’inquinamento dell’aria e delle polveri sottili. Nei mesi della pandemia siamo stati i primi, con un lavoro scientifico, a dimostrare come l’esposizione di lungo periodo alle polveri sottili sia stata un’aggravante degli effetti del Covid e abbia inciso sulla mortalità. Anche fuori dalla pandemia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che i molti giorni oltre i limiti consentiti producono in Italia centinaia di morti al giorno per malattie causate dall’inquinamento dell’aria. Dovremmo essere in prima linea su questo aspetto della transizione. La questione dei prezzi è semplice. Il modo meno costoso di produrre energia è da rinnovabili. I meccanismi dei prezzi, però, oggi impongono che il prezzo di riferimento sia quello del gas, solitamente più elevato, cosa che ai produttori di energia conviene. Oltre che passare alle rinnovabili, pertanto, dobbiamo cambiare i meccanismi di determinazione del prezzo.

In definitiva, richiamando il suo libro «Guarire la democrazia. Per un nuovo paradigma politico ed economico», siamo in grado di vincere la sfida climatica? La transizione ecologica continuerà? L’intelligenza artificiale potrà davvero aiutarci, anche ad arginare le bufale?

Penso che la transizione sia irreversibile e che, nonostante tutto, ce la faremo a portarla avanti. I danni per noi e per il pianeta dipenderanno da quanto riusciremo a limitare l’aumento della temperatura. La tecnologia in genere ci aiuterà, ma dovremmo imparare a regolare i social media per evitare che diventino tossici e si creino circoli viziosi e cortocircuiti della comunicazione.

Leonardo Becchetti è nato a Roma nel 1965. È professore ordinario di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma. I suoi ultimi libri sono «La rivoluzione della cittadinanza attiva. Come sopravviveremo a pandemie, guerre e a un sistema ambientale in crisi» (Emi, 2022) e «Guarire la democrazia. Per un nuovo paradigma politico ed economico» (Minimum Fax, 2024).

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