Cronaca / Isola e Valle San Martino
Mercoledì 09 Luglio 2014
Yara: «La soluzione del caso?
È nel cantiere di Palazzago»
La soluzione del giallo è nascosta nel cantiere di Palazzago, dove Massimo Bossetti lavorava nel novembre del 2010. È partendo da qui, ha spiegato ieri agli inquirenti il presunto omicida di Yara, che si potrebbe arrivare al vero assassino.
La soluzione del giallo è nascosta nel cantiere di Palazzago, dove Massimo Bossetti lavorava nel novembre del 2010. È partendo da qui, ha spiegato ieri agli inquirenti il presunto omicida di Yara, che si potrebbe arrivare al vero assassino.
Il muratore di Mapello, nell’interrogatorio da lui stesso richiesto, ha scodellato una versione che ha tutta l’aria di essere una capricciosa macchinazione del destino: lui che perde sangue dal naso per via dell’epistassi da cui è affetto, una goccia che finisce su un taglierino, attrezzo che poi verrà usato da qualcun altro per uccidere la tredicenne di Brembate Sopra.
Nel corso del confronto, durato poco più di due ore, Bossetti avrebbe fornito agli inquirenti anche i nomi di chi lavorava con lui. Indicazioni che non vanno lette come accuse di omicidio, ma come inviti ad approfondire, «perché anche loro c’erano sul cantiere di Palazzago» e quindi «potrebbero sapere qualcosa».
Gli inquirenti restano freddi
È una versione che circolava in modo informale da giorni e che presumibilmente i difensori avrebbero voluto rivelare più avanti, in attesa che fosse l’accusa a scoprire altre carte. Ma c’è da capire l’impazienza di Bossetti: è lui a consumare i suoi giorni in carcere, è lui a essere provato da 21giorni di isolamento ed è comprensibile che possa non aver voglia di algide partite a scacchi.
La spiegazione fornita ieri è un piccolo passo in avanti rispetto allo smarrimento opposto finora dell’indiziato («Non so come il mio dna possa essere finito sui leggins e gli slip di Yara»), ma pare abbia lasciato freddi gli investigatori. Anche se è quasi scontato che accertamenti verranno compiuti.
Leggi le due pagine dedicate all’argomento su L’Eco di Bergamo del 9 luglio
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