Cronaca / Isola e Valle San Martino
Mercoledì 08 Ottobre 2014
Yara, il «silenzio anomalo» di Bossetti
«Dopo la scomparsa non ne parlava mai»
È un «silenzio anomalo», quello di cui si circonda Massimo Bossetti all’indomani della scomparsa di Yara. Un mutismo che, se non vale come grave indizio, serve agli inquirenti per sottolineare alcune contraddizioni nelle successive dichiarazioni che il muratore accusato dell’omicidio rilascerà ai magistrati.
Lo scrivono gli investigatori di carabinieri e polizia nelle informative che stanno completando e che arriveranno alla Procura di Bergamo entro novembre. Una serie di carte in cui vengono ripercorsi i tre anni e mezzo, dal giorno in cui la tredicenne sparì (26 novembre 2010) sino all’arresto del presunto assassino (16 giugno 2014), ma nelle quali vengono analizzati anche i quattro mesi successivi, fino ai giorni odierni, caratterizzati dagli interrogatori e dell’attività di riscontro alle parole di Bossetti.
Il silenzio «anomalo»
Quel che ha colpito gli investigatori è il «silenzio anomalo» del presunto omicida. Che, nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della vittima - scrivono nelle informative -, «si estraniava dall’episodio omicidiario, non facendo menzione con alcuna persona, nemmeno con i familiari, su quanto accaduto a Yara, il cui cadavere in quei giorni non era ancora stato rinvenuto». Un mutismo che fa il paio con «altri riscontri anomali, come il vuoto di sms e di telefonate con la moglie» proprio in quel periodo (dal 16 novembre al 6 dicembre 2010).
È un disinteresse per la vicenda della piccola ginnasta, quello di Bossetti? È la reazione di un genitore (il primogenito ha la stessa età di Yara) che non trova di meglio che il silenzio per fronteggiare l’angoscia? Oppure è altro? Perché gli inquirenti, incrociando quello strano comportamento con quanto poi dichiarerà il muratore negli interrogatori, una contraddizione la trovano.
È indifferente alla scomparsa di una ragazzina che potrebbe essere sua figlia? Bene, fanno notare nei loro documenti gli investigatori, allora perché raccontare al gip Ezia Maccora che nei giorni della sparizione di Yara gli era capitato di incrociare su un cantiere Fulvio Gambirasio, il padre di Yara, e di essere rimasto colpito perché «se fosse successo a me, non avrei avuto la forza di lavorare, ma sarei stato in giro giorno e notte a cercare mia figlia».
Perché, come ammette la moglie Marita Comi nell’interrogatorio, non accennare l’episodio dell’incontro almeno ai familiari, in un periodo, tra l’altro, in cui i media martellavano con la notizia e l’argomento era sulla bocca di un’opinione pubblica anche piuttosto emotivamente toccata dalla vicenda?
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