Voli low cost, la sfida
in cabina di comando

Che cosa sta succedendo alla Ryanair? La regina delle low cost, sembra attraversare numerose turbolenze. Fino a cinquanta voli cancellati al giorno, per un totale di 400 mila passeggeri, il due per cento del volume totale, fanno sapere da Dublino, per una spesa che oscilla dai 20 ai 25 milioni di euro in rimborsi e compensazioni (per chi si è visto annullare il volo meno di due settimane prima della prenotazione). I clienti, sia detto per inciso, in base alle regole europee hanno diritto anche alla riprogrammazione del volo. Come è noto, le cause di queste turbolenze sono essenzialmente due: l’errata programmazione e valutazione dei turni di riposo degli equipaggi e l’esodo dei piloti (cento secondo la compagnia di Dublino, ma già settecento, si dice, nell’ultimo anno).

L’emorragia dei piloti dipende dall’apertura del mercato dei cieli. I comandanti migrano verso compagnie che hanno appena aperto e offrono contratti di assunzione migliori, come l’agguerritissima Norwegian Air Shuttle, oppure altre low cost che cercano di aggiudicarseli attraverso condizioni più favorevoli. È il mercato, bellezza. Con la liberalizzazione dei cieli e la concorrenza delle compagnie si creano anche le basi per il miglioramento delle condizioni economiche e di trattamento del personale. Non ci sono soltanto le tariffe più competitive rispetto a un monopolio di Stato, come avveniva prima.

Con la liberalizzazione dei cieli decretata dall’Unione europea negli anni ’90 sono stati proprio i vettori come Ryanair ad approfittarne per primi, rubando quote di mercato ai vettori nazionali, al ritmo del dieci per cento l’anno, attraverso un efficientamento dei propri aerei, del servizio e dei loro equipaggi (l’unica cosa su cui non si può risparmiare è la sicurezza e la manutenzione degli aerei, naturalmente, poiché oltre alle considerazioni morali sarebbe devastante sul piano dell’immagine). Oggi la stessa concorrenza sta creando problemi a Ryanair. È un male? Diremmo proprio di no. La competizione, se ben regolata da un arbitro europeo (come di fatto lo è grazie alla normativa dell’Unione che impone leggi severe, soprattutto sulla sicurezza), pone solo le condizioni per un miglioramento delle tariffe per i clienti e del trattamento del personale di volo. Se la compagnia vuole tenersi stretti i suoi piloti ed evitare un esodo, avrà un solo modo: dovrà consentire condizioni migliori, attraverso un «reset» controllato di trattamenti economici, assicurazione malattia, condizioni di volo, turnazioni, assegnazione delle rotte, ecc. Tanto è vero che il Chief Operation Officer Michael Hickey ha già annunciato offerte a vantaggio di quei piloti che hanno ferie arretrate, compatibilmente con le regole europee che impongono di smaltirle, offrendo fino a 12 mila euro lordi per i comandanti e seimila per i primi ufficiali. Non solo, ma per trattenere i piloti pare stia considerando un «bonus fedeltà». Conviene a tutti, in questa sorta di calciomercato di alamari, soprattutto alla compagnia, anche per una questione di immagine.

Naturalmente non bisogna dimenticare che la faccenda sta creando non pochi disagi agli utenti, e fa bene il ministro Graziano Delrio a pretendere «un rispetto assoluto dei diritti del passeggero» e a invocare la vigilanza dell’Enac. Ma quello che sta accadendo non è affatto la fine del mondo, è solo un piccolo terremoto che impone alle compagnie low cost di essere ancor più competitive ed efficienti. Certo è una sfida non da poco per la compagnia di Michael O’Leary. Ma il fondatore di Ryanair, che è arrivato a un passo dai vettori e alle rotte intercontinentali di Alitalia, ha dimostrato di saperne vincere parecchie in questi ultimi vent’anni.

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