Cronaca
Mercoledì 12 Febbraio 2014
Una famiglia italiana a Stoccolma
«Stesse tasse, ma ben altri servizi»
Italia-Svezia: stesse tasse, ma decisamente un’altra «vita»: «Ti basti pensare che quando cerchi una scuola pubblica hai solo l’imbarazzo della scelta. E il servizio è eccezionale». Angela e Francesco, sposati in Italia, sono rispettivamente di Roma e Milano.
Italia-Svezia: stesse tasse, ma decisamente un’altra «vita»: «Ti basti pensare che quando cerchi una scuola pubblica hai solo l’imbarazzo della scelta. E il servizio è eccezionale». Angela e Francesco, sposati in Italia, sono rispettivamente di Roma e Milano. Da qualche anno insieme al figlio Pietro, 2 anni, nato in Svezia, vivono e lavorano a Stoccolma.
Lui è un imprenditore nel campo della ristorazione e dei locali notturni (è un personaggio della «movida» di Stoccolma); lei lavora da poco come veterinaria in una clinica che, dopo un brevissimo periodo di prova, le ha già fatto un contratto a tempo indeterminato. Il suo salario base nel periodo di prova è di circa 2.200 euro netti.
Pagano il fisco svedese e ottengono i relativi servizi. Ma a livello svedese appunto. Poi d’estate trascorrono le vacanze al mare, sul Mediterraneo. E agli amici raccontano storie «mirabolanti» su quel Paese. Freddissimo, ma iper-organizzato. Anche perché, rilevano, in Svezia vivono appena 10 milioni di abitanti. Come fosse la città di Roma più una grande provincia.
«Per ogni bambino che nasce in Svezia - racconta per esempio Angela - lo Stato versa un sussidio mensile di 120 euro su un conto corrente e che può trasformarsi in un fondo. Quando il ragazzo arriva a 18 anni può usufruire della cifra (intorno ai 20-25.000 euro) o per studiare, o per avviare una piccola attività economica. Pietro per esempio, ha 24 mesi e ha già in banca quasi 3.000 euro». Non male considerando che invece un qualunque bambino italiano nasce viceversa con un fardello sulle spalle: cioè la sua quota personale di debito pubblico (circa 35.000 euro).
Ma non è finita qui: «Cercavo la scuola per Pietro - racconta ancora Angela -, intorno a casa ce ne sono tantissime. Sono pubbliche. Ho avuto l’imbarazzo della scelta. E posso decidere io quando andarlo a riprendere. Loro possono tenerlo o fino alle 15 oppure col tempo pieno fino alle 18». Insomma l’esatto contrario di quanto avviene in Italia, dove spessissimo i bambini vengono parcheggiati in costosi asili privati e dove non è possibile neanche detrarre dalle tasse la spesa.
Non è di importanza secondaria il fatto che il congedo parentale sia retribuito al 50% del salario e un genitore deve potere usufruire almeno di un congedo minimo di un anno. Sarà anche per questo che, secondo l’Unicef, la Svezia rispetta i 10 parametri di eccellenza delle politiche per l’infanzia. Mentre l’Italia rispetta solo i parametri minimi essenziali (4 indicatori su dieci).
Anche Francesco racconta storie eccellenti della sua attività imprenditoriale: «Intanto è molto più semplice assumere personale. E il lavoro non manca mai. Io, per esempio, lavoro per un ristorante italiano di alto livello nel centro della città, a ridosso della zona dei locali. Ma da un po’ ho avuto l’occasione di rilevare in società la gestione di una discoteca». Fare impresa è più facile, meno burocrazia e più possibilità di posti di lavoro. «Lavoro sempre - aggiunge -. Giorno e notte. Altro che disoccupazione».
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