Un bergamasco con la sonda Rosetta
Ha assicurato il servizio delle antenne

Accometaggio, parola strana. Molto italiana, perché al di fuori dei confini tricolori, nessuno aveva sentito l’esigenza di coniare un nuovo termine per descrivere l’atterraggio su una cometa: gli inglesi si sono fatti andare bene «landing», i francesi «atterrissage» e via dicendo.

Vada per accometaggio, comunque, giusto perché un momento che passa alla storia può anche concedersi il lusso della creazione di un neologismo. Cosmico, spaziale, interstellare, visto che l’ultimo film di Nolan che sta spopolando nelle sale, ultimamente, è sembrato un po’ meno lontano dalla realtà.

Un pezzo di storia molto europeo, parecchio italiano, anche un po’ bergamasco: perché nelle foto esplose su mass media e internet c’è anche quel signore con la faccia simpatica, il capello ingrigito e il pugno chiuso come quello di un allenatore di calcio che ha appena vinto la Champions League.

Quel signore si chiama Luca Foiadelli, è nato a Mozzo ed era uno dei dieci (persona più, persona meno) che si trovava nella sala di controllo dell’Agenzia Spaziale Europea nel momento in cui il lander Philae atterrava sulla cometa 67/P Churyumov Gerasimenko. Quel signore non ha vinto nessuna coppa dei campioni, eppure - insieme ai suoi colleghi - esultava come un bambino, neanche fosse andato sulla luna. Forse, in effetti, proprio perché aveva fatto qualcosa di molto simile. Niente «Houston, abbiamo un problema», semmai «Darmstadt non abbiamo problemi e magari, già che ci siete, avvisate la signora Agnese, a Mozzo, spiegandole che è andato tutto a meraviglia».

Come ogni mamma perfetta, lei era la più contenta di tutti, forse anche più del signor Egidio, suo marito, e di tutto il resto del mondo che ammirava il progresso del genere umano: perché quella era (anche) una vittoria del suo bambino, rimasto per lei identico anche ora che ha quarantanove anni e vive fuori da casa da più di venti.

Luca Foiadelli, appunto: ingegnere di stazione a Darmstadt, quartier generale dell’European Space Operation Centre, sotto contratto per una delle aziende che forniscono i propri servizi all’Esa. Di Rosetta si occupa da ben prima che spiccasse il volo: fa parte del team Ground Operation e coordina le operazioni che assicurano la comunicazione tra la sonda e la terra.

«Il mio compito è quello di assicurare il servizio delle antenne: l’attività di testing di uno station engineer è continua, perché la gestione e la manutenzione devono fare sì che l’impianto funzioni al 99%», spiega telefonicamente nel primo giorno dopo la grande fatica. Nella fattispecie, Foiadelli - dalla console tedesca- si occupa della stazione australiana di New Norcia, nel Western Australia, non lontano da Perth: la prima delle maxi-antenne (dal diametro di trentacinque metri) che permettono la comunicazione con Rosetta (le altre sono state costruite successivamente, in Spagna e in Argentina).

Tanto lavoro nell’ombra, per lui e tutta l’Esa, fino alla fragorosa esplosione di celebrità di mercoledì: «Un’emozione particolare e una soddisfazione immensa, non solo dal punto di vista professionale - commenta Foiadelli -. Pensare che siamo stati i primi ad atterrare su una cometa regala una sensazione inebriante. È bellissimo vedere che tutto il mondo si accorge di ciò che sta succedendo: la visibilità è pazzesca, mercoledì Rosetta ha superato i tredici miliardi di tweet in tutto il mondo ed è piacevole respirare un clima di così forte interesse anche al di fuori della comunità scientifica. E oltre che un’esplosione di gioia è stata una liberazione: lavoravamo dodici ore al giorno, eravamo stanchi, ci voleva un momento così speciale». Un giorno del genere ricorda - con le dovute proporzioni- il 21 luglio 1969, quando l’uomo atterrò sulla luna: «Avevo quattro anni: mio fratello Marco era nato quattro giorni prima. Ricordo molto bene quelle immagini, perché lì iniziò il mio sogno di lavorare in questo campo».

Dall’Esperia a Darmstadt, passando per una cometa: il percorso di Foiadelli è stato tortuoso e non privo di soddisfazioni. Finita la scuola superiore, ha iniziato subito a lavorare in aeroporto a Orio, incrociando il suo cammino con l’Esa già nel ’92, quando a 27 anni si trasferì a Korou, in Guyana Francese: cinque anni lì, poi una parentesi a Roma e, dal ’99 l’avventura tedesca.

«Fuga di cervelli? Non direi: non sono scappato perché in Italia non ci fossero le possibilità, ma semplicemente mi sono spostato dove avevo modo di seguire un certo percorso. Non avevo frequentato l’università: gli studi li ho proseguiti di recente in Germania. Credo che la mia storia dimostri che non servono i titoli di studio per potere intraprendere un percorso importante. Ciò che mi ha sempre spinto sono la passione e l’interesse per questo campo: serve un po’ di coraggio e certe volte bisogna buttarsi, ma ai giovani dico di andare dove li porta il cuore. Seguendo i propri interessi, si può arrivare lontano».

Anche tra le stelle, sembrerebbe. D’altronde Luca Foiadelli, bergamasco di Mozzo che vive in Germania, vicino a Francoforte, con una moglie polacca, Aneta, e due figli che parlano tre lingue, Daria e Nathan, è proprio un cittadino del mondo. Anzi, di un luogo un po’ più grande. Per certi versi interstellare.

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