Cronaca / Bergamo Città
Giovedì 16 Aprile 2015
Ucciso e nascosto in un borsone
La moglie arrestata a Boltiere
Svolta nel giallo di Trezzano sul Naviglio. A 7 mesi dal delitto, Lucia Fiore è stata fermata nella Bergamasca, dove si era trasferita insieme al figlio a casa di un parente perché l’appartamento era sotto sequestro. È accusata di aver sedato il marito con una forte dose di medicinali e di averlo soffocato.
I carabinieri della compagnia di Corsico hanno eseguito mercoledì 15 aprile un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del tribunale di Milano, nei confronti di Lucia Fiore, 53 anni, incensurata, considerata responsabile dell’omicidio del marito Riccardo Rossi, un tassista di 57 anni, e accusata di averne occultato il cadavere. L’omicidio è avvenuto la sera del 16 settembre 2014 a Trezzano sul Naviglio. L’arresto è avvenuto a conclusione di indagini scattate quando il corpo dell’uomo è stato trovato lungo la pista ciclabile che costeggia la strada statale 494, la cosiddetta Nuova Vigevanese, all’altezza di Vermezzo.
Il giallo di Trezzano sul Naviglio rischiava di essere un delitto perfetto. Se Lucia Fiore fosse stata abbastanza forte da caricare il sacco contenente il corpo del marito nel bagagliaio della sua auto, non avrebbe dovuto chiedere aiuto a un vicino romeno del condominio di via Monteverde. È stato lui, insospettito dal peso e dalla forma del borsone, a chiamare i carabinieri e a dare così il via alle indagini sulla morte di Riccardo Rossi, ex tassista di 56 anni trovato senza vita a mezzanotte del 16 settembre 2014 accanto alla pista ciclabile di Abbiategrasso, sulla sponda del Naviglio.
Messa alle strette dai militari, la Fiore ha ammesso solo di essersi sbarazzata del corpo in preda allo choc dopo averlo trovato senza vita sul letto. L’accusa di occultamento di cadavere si è trasformata in omicidio aggravato e premeditato dopo una serie di accertamenti in casa e dopo i risultati di autopsia ed esami tossicologici (la donna avrebbe somministrato al marito dosi pericolose di tre farmaci che assumeva regolarmente, poi lo avrebbe soffocato con un sacchetto). In tutti questi mesi la donna ha vissuto assieme al figlio a casa di un parente a Boltiere (a cui è stato affidato il ragazzino) perché l’appartamento era sotto sequestro e lì i militari sono andati a prenderla il 15 aprile.
Non è parsa sorpresa, ha mantenuto la stessa «lucidità e freddezza» che secondo il gip Stefania Pepe ha usato per l’omicidio. Nell’ordinanza si legge che era «determinata a uccidere solo perché non sopportava più la situazione familiare, ormai deteriorata, e non tollerava di continuare a vivere con un uomo affetto da gravi disturbi della personalità e dal carattere problematico». Nel corso dell’ interrogatorio di garanzia del 16 aprile si è avvalsa della facoltà di non rispondere.
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