Tentorio: azioni A2A da vendere
per finanziare i cantieri aperti

Da un tesoretto potenziale (i 12 milioni di avanzo di amministrazione, in realtà destinati per i vincoli del Patto di stabilità a estinguere solo i mutui) a un tesoretto vero, reale: il pacchetto di azioni A2A che vale oltre 33 milioni di euro e che Palazzo Frizzoni metterà sul mercato.

Da un tesoretto potenziale (i 12 milioni di avanzo di amministrazione, in realtà destinati per i vincoli del Patto di stabilità a estinguere solo i mutui) a un tesoretto vero, reale: il pacchetto di azioni A2A che vale oltre 33 milioni di euro e che Palazzo Frizzoni dovrà mettere sul mercato per finanziare i cantieri aperti.

«Sarà inevitabile vendere la maggior parte del pacchetto A2A» prevede il bilancio di previsione che arriverà lunedì in Consiglio comunale. Per far fronte a 25 milioni di pagamenti servono incassi per 30,2 milioni. Incassi che saranno «necessari per pagare le opere in corso nel 2014 cioè avviate negli anni scorsi e destinate a concludersi nel triennio 2013/2015» si legge nella delibera.

A giugno la multiutility pagherà il dividendo 2013 che porterà nelle casse comunali 1,28 milioni. Palafrizzoni detiene 38,5 milioni di titoli, l’1,4 per cento della società nata nel 2008 dalla fusione tra la milanese Aem e la bresciana Asm, che nel 2005 aveva incorporato per fusione la bergamasca Bas, detenuta integralmente dal Comune. Un’operazione voluta dall’allora Giunta Bruni e da sempre contestata dal centrodestra. Il titolo A2A vale 0,86 euro, sotto il picco di quest’anno (1,029), ma complessivamente frutta 33 milioni e rotti.

«È il vero tesoretto» chiosa il sindaco Franco Tentorio. Che verrà ceduto non è in discussione. Tutto o in parte come è stato fatto in questi anni? Tentorio non ha dubbi: «Dovrà essere ceduto tutto. Vendendo tutte le azioni e una quota di immobili per cinque, sei milioni, paghiamo tutti gli interventi solo del Piano delle opere del 2012 e 2013, ma nulla di più. Quelli che dicono con quelle azioni “puoi fare questo o quello” non sanno di cosa parlano».

Leggi di più su L’Eco di Bergamo del 26 aprile

© RIPRODUZIONE RISERVATA