Telefonini e hashish in carcere
Erano nascosti nella mortadella

Di solito, dal salumiere, ti chiedono se la vuoi con o senza pistacchi. La mortadella consegnata in carcere il 24 gennaio del 2015, invece, era farcita di contenuti decisamente più ricercati: un telefonino Nokia di vecchia generazione (quelli che nell’era degli smartphone noi tutti un po’ rimpiangiamo per dimensioni e praticità) e tre panetti di hashish, per un peso complessivo di 50 grammi.

Se ne accorse un agente della polizia penitenziaria, addetto ai controlli della merce recapitata ai detenuti da parenti e familiari, e subito capì che i gusti alimentari, in quella storia, non c’entravano proprio nulla.

Premessa: portare cellulari ai detenuti in carcere è vietato, figuriamoci la droga. La strana scoperta della penitenziaria fa quindi scattare un’indagine. Si appura che quel giorno a recapitare il pacco in via Gleno è stata una ragazza, Francesca. «Non sapevo cosa contenesse», sostiene (e verrà creduta). Agli inquirenti riferisce che è stato il suo fidanzato, Antonio Stagno, trentacinquenne detenuto nella casa circondariale, a contattarla, avvisandola che fuori dal carcere avrebbe incontrato un individuo, il quale le avrebbe consegnato un pacco diretto lui. Da buona fidanzata aveva assecondato la richiesta, non sospettando che dietro ci fosse qualcosa di illecito.

Il 24 gennaio Francesca consegna il pacco in carcere. La guardia addetta alle ispezioni lo apre e vede che contiene due mortadelle intere. Non sono fatte con carne di maiale perché vengono da una macelleria islamica (rimasta ignota) e riportano una scritta particolare: «Allahl». L’agente vuole vederci chiaro, anche perché di mortadelle così ne erano già arrivate in precedenza e la cosa – al di là della qualità del prodotto – cominciava a puzzare un po’. Prende un coltello e comincia a tagliare. Una fetta, due fette e... toh! Ecco il Nokia e poi l’hashish.

Le guardie vanno nella cella di Stagno, la perquisiscono e gli chiedono conto di quelle mortadelle galeotte destinate a lui, per mano dell’obbediente fidanzata. «È stato il mio compagno di cella marocchino a chiedermi il favore!». Ecco entrare in scena il giovane nordafricano Moucine El Fahsi, collezionista di mortadelle (in cella ne aveva altre due) il quale in effetti aveva esaurito il suo quantitativo in chilogrammi di merce che a ciascun detenuto è consentito farsi recapitare da fuori «e così – racconta Stagno alle guardie – ha chiesto a me il favore di poter usare un po’ della mia quota per farsi recapitare un pacco. Gli ho detto: va bene, te lo faccio portare dalla mia fidanzata, ma come faccio a contattarla? A quel punto lui ha estratto un telefonino e l’abbiamo chiamata».

Marocchino e fidanzati italiani finiscono indagati tutti e tre. Il procedimento va avanti e, mercoledì scorso, approda davanti al giudice dell'udienza preliminare Alberto Viti. La posizione del nordafricano viene stralciata perché lui, nel frattempo, è stato espulso e la legge prevede (una volta provato il rimpatrio coatto) la pronuncia di non luogo a procedere. La peggio tocca ad Antonio Stagno, condannato a tre anni in abbreviato. Il giudice ha ritenuto che abbia detto la verità, quando ha sostenuto che il pacco era per il suo compagno di cella marocchino, ma non gli ha creduto quando ha affermato di non essere a conoscenza del contenuto illecito (sapeva infatti – è il ragionamento – che in altre occasioni il nordafricano aveva introdotto oggetti vietati, come un telefonino, e che era finito nei guai per questioni di droga). Quanto alla fidanzata, vale la regola che ambasciatrice non porta pena: è stata assolta. Lei sì – secondo il gup – non aveva alcuna idea di cosa contenesse il pacco e si era fidata. Cosa non si fa per amore.

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