Concussione e corruzione. Con queste due accuse ieri il Tribunale ha condannato un sovrintendente della Guardia di Finanza, infliggendogli tre anni e mezzo di reclusione per una vicenda di tangenti che risale al ’98-’99. Sul banco degli imputati Giuseppe Garofalo di 43 anni, nativo della provincia di Caltanissetta e residente a Villongo, appuntato delle Fiamme gialle ora sospeso dal servizio e all’epoca dei fatti in forza alla Compagnia di Bergamo. Il finanziere rispondeva di due episodi che, secondo l’accusa, gli avrebbero fruttato venti milioni di vecchie lire. Denaro che il militare ha sempre negato di aver ricevuto, proclamandosi innocente.
Il pm Angelo Tibaldi aveva chiesto la condanna a 4 anni e 3 mesi di reclusione, mentre la difesa – avvocato Massimo Rocchi – si è battuta perché i giudici pronunciassero assoluzione «per non aver commesso il fatto» oppure «perché il fatto non sussiste». Garofalo finì nei guai nell’ambito dell’inchiesta che tre anni fa portò all’arresto di un sottufficiale della Finanza, l’ex maresciallo Lorenzo Abis, coinvolto in un giro di tangenti che in primo grado gli costò una condanna a sei anni di reclusione in abbreviato (ora la sua posizione è in Appello) quando era in servizio alla Brigata di Clusone. Due le accuse per il sovrintendente: concussione e corruzione.
Concussione. Garofalo – contesta il pm – ha ricevuto dieci milioni di vecchie lire da un artigiano di San Paolo d’Argon che si era rivolto a lui in un momento di difficoltà per la propria azienda, per la quale temeva conseguenze anche penali. L’appuntato l’avrebbe «aiutato» mettendolo in contatto con Abis, che seguiva quella pratica, e presentandogli poi il conto. A riscontro c’è il dato di un prelievo bancario di sei milioni di lire dal conto della madre dell’artigiano e i contatti fra i tre, anche con incontri a Clusone, dove c’era Abis. I giudici hanno disposto a favore dell’artigiano, parte civile, un risarcimento di cinquemila euro.
Corruzione. La seconda contestazione riguarda un imprenditore che aveva interessi anche nel Lecchese. In questo caso il finanziere avrebbe sostanzialmente dato al privato consigli contrari all’interesse dell’amministrazione finanziaria. La difesa ha cercato di confutare entrambe le accuse contestando, per quanto riguarda la prima, la credibilità dell’artigiano-presunta vittima. Nel secondo caso, ha contestato invece il legale, mancano riscontri alle dichiarazioni dell’imprenditore: «Nemmeno la cifra che sarebbe stata versata è certa», ha obiettato l’avvocato. Ma – ha invece sottolineato il pm – per questo medesimo episodio l’imprenditore, ora deceduto, aveva già patteggiato.
(04/05/2004
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