«Sul caso della Faac
polveroni strumentali»
Don Re, direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale del lavoro: «I fatti dicono cose diverse».
Il tono è pacato e riflessivo come sempre, ma dalle parole del direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro traspare un velo di amarezza per la strumentalizzazione fatta negli ultimi giorni sulla vicenda della Faac, l’azienda di Grassobbio (di proprietà della Curia di Bologna, ma gestita da Trust Faac) chiusa mesi fa con la conseguente perdita del posto di lavoro per i cinquanta operai in servizio. «Per chi, come la Diocesi di Bergamo, questi temi li affronta sul nascere - dice don Cristiano Re - è triste vedere che situazioni così drammatiche vengano utilizzate per fini assolutamente non legati alla soluzione concreta dei problemi, ma solo ed esclusivamente per alzare inutili quanto inesistenti polveroni, tanto per gettare fumo negli occhi alla gente e imbonirla alla propria causa».
In effetti la vicenda della Faac di Grassobbio muove i primi passi nel marzo scorso per chiuderli definitivamente l’11 maggio, oltre tre mesi prima che finisse sui palchi delle feste di partito.
«Credo sia ormai evidente a tutti che il problema a cui la politica si sta “appassionando” così tanto da alcuni giorni abbia in realtà un percorso, e non solo temporale, ben diverso da quello che si vuol far credere. Il 10 marzo l’azienda incontra i sindacati e comunica loro la decisione di chiudere il sito di Grassobbio e di delocalizzare la produzione all’estero. I giornali ne scrivono per la prima volta due giorni dopo, il 12 marzo. Il 28 aprile, azienda, sindacati (Fiom Cgil esclusa) e Rsu firmano un accordo che prevede un anno di cassa integrazione straordinaria e una buona uscita “una tantum” per i dipendenti, oltre ad alcuni incentivi economici per le aziende che assumeranno a tempo indeterminato i lavoratori della Faac. L’ultimo atto va in scena l’11 maggio, quando la Faac chiude definitivamente i battenti. Questi sono dati oggettivi sotto gli occhi di tutti, o comunque di chi li vuol vedere».
E la Diocesi di Bergamo è rimasta a guardare e basta?
«Qualcuno vorrebbe far credere di sì. In realtà le cose sono andate in tutt’altro modo, e lo sa anche chi nei giorni scorsi ha condiviso una certa impostazione politica».
E allora come sono andate davvero le cose?
«L’impegno della Diocesi nell’affrontare la situazione della Faac è cominciato, seppur lontano dalle luci dei media e dai palchi delle feste di partito, già nella prima metà del novembre scorso - quando le ipotesi di chiusura di Faac non erano ancora di dominio pubblico - con un forte e concreto tentativo di mediazione per salvare azienda e posti di lavoro, tentativo purtroppo fallito per cause totalmente indipendenti dalla Diocesi di Bergamo. E questo, lo ripeto, lo sa bene anche chi, nei giorni scorsi, ha condiviso certi toni politici sollevati inutilmente attorno a questa vicenda. Credo davvero di non poter essere smentito nel dire che se c’è qualcuno che ha fatto davvero di tutto per scongiurare le scelte prese da Faac, questo qualcuno è stata la Diocesi di Bergamo. Il vescovo Francesco comprende dunque con assoluta chiarezza il profondo sconforto dei lavoratori messi in mobilità e delle loro famiglie, e conferma che anche dopo il fallito tentativo di mediazione continuerà a mettere in campo le risorse relazionali capaci - questo, almeno, è l’auspicio - di alleviare le conseguenze della disoccupazione».
La politica resta fuori?
«Mi piacerebbe proprio di no. Anzi, proprio all’interno di questa rete di relazioni, la Diocesi chiede agli stessi partiti che l’hanno interpellata di poter collaborare fattivamente per individuare le soluzioni per questa e per le molte altre emergenze lavorative che Bergamo sta vivendo ormai da alcuni anni, e che sono il frutto di una crisi che ha messo in ginocchio molte delle imprese storiche della Bergamasca».
Ma, al di là del caso Faac, qual è l’impegno che la Diocesi mette nell’affrontare la crisi che ha travolto il lavoro bergamasco?
«Da molto tempo ormai la Diocesi di Bergamo svolge un impegno quotidiano nelle parrocchie e a livello diocesano per contenere i disagi della crisi economica, e lo fa anche attraverso uno straordinario sforzo di progettazione di percorsi di sviluppo virtuosi tesi a creare nuova occupazione. Tra le tante iniziative che la Diocesi ha attivato vale la pena di ricordare il “fondo diocesano di solidarietà famiglia-lavoro” (dall’aprile 2009) e il “fondo famiglia-casa” (dall’ottobre scorso), fondi che a tutt’oggi hanno dato aiuti per oltre 5 milioni di euro. Questo vuol dire ascoltare davvero le voci di chi fatica a guardare con speranza il futuro delle proprie famiglie».
La Diocesi ha anche creato una società per favorire la creazione di posti di lavoro.
«Per dare ulteriore concretezza a questo impegno, il vescovo ha promosso la nascita di “035 Investimenti Spa”, società nata nel 2012 che aggrega il capitale di una decina di imprenditori bergamaschi, di Isa di Trento, oltre che della Diocesi stessa, con lo scopo di investire, come socio di minoranza, in giovani aziende portatrici di progetti imprenditoriali con alto potenziale di successo e capaci di generare una ricaduta positiva in termini di occupazione e di lavoro. E i risultati non mancano. Senza contare che, da sempre, le relazioni che il vescovo e i parroci intrattengono con gli imprenditori, funzionano,d ove possibile, come naturale “sportello di collocamento” per far incontrare domande e offerte di lavoro sul nostro territorio».
In conclusione su quali direttrici lavora la Diocesi per dare risposte vere all’emergenza lavoro?
«Sostanzialmente il nostro impegno si articola in tre direzioni ben precise.La prima è quella di impegnarci per costruire una rete territoriale capace di proporre una nuova cultura del lavoro, facendo diventare protagonisti di questa nuova idea di lavoro i diversi attori già presenti sul territorio, senza affidarsi a chissà chi o a chissà che cosa per attivare ricadute concrete nel mondo del lavoro. In questo senso l’Osservatori diocesano sul mondo del lavoro è un’esperienza di assoluto livello. La seconda è invece rivolta a dare risposte concrete a bisogni reali, e le risposte date dai due “fondi” parlano da sole. La terza, infine,è rivolta ad uno sforzo continuo per progettare soluzioni possibili per la creazione di nuovi posti di lavoro. Anche in questo caso, l’esperienza di “035 Investimenti” è in grado di dare risultati molto interessanti. E mi faccia aggiungere un’ultima a cosa».
Dica.
«Su questi temi, la sensibilità non è da confondere con l’opportunità. A buon intenditore...».
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