«Sono tornato in Europa, sto arrivando»Da Vladivostok a Mosca in 11 giorni

Tallin (Estonia) - Sono di nuovo nella cara e vecchia Europa, sto arrivando! Alle 21,30 di sabato 2 settembre, due ore e mezza prima che mi scadesse il visto russo, ho dribblato l’ultimo (spero...) problema del raid, ovvero dire «da svidànija», arrivederci, alla Russia senza complicazioni. Nessun temuto intoppo al confine, al contrario sorrisi, simpatia e comprensione per un fuoristrada che è diventato internamente un disordinatissimo bazar: i doganieri si sono limitati a un controllo simbolico.
La strada è davvero in discesa, quattro giorni e sarò a Bergamo (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Germania, Austria e Italia), in tempo per rientrare al giornale evitando ritardi. Non vi ho scritto dal Paese più esteso del mondo perché non ne ho avuto letteralmente il tempo, soffocato dalla maratona automobilistica più logorante del raid: 10.000 km in 11 giorni per attraversare la Russia da Vladivostok a Mosca (sette fusi orari di differenza!).
Sono stato al volante tutti i giorni e per tutto il giorno (compresa una tirata di 44 ore consecutive..., se non mi sono schiantato stavolta...), e non ho mai avuto la possibilità di accedere a un internet point, una rarità nelle aree più remote della Russia, nemmeno quando mi sono fermato stanco morto per riposare in qualche scalcinato hotel o nel fuoristrada. Forse non vi ho raccontato che non ho più con me il modem satellitare, impiegato nelle emergenze in Africa, perché l’ho inviato in Italia alla scadenza del contratto non considerandolo strumento assolutamente necessario, nonostante il buon funzionamento.
Non ci sentivamo dal Giappone, quando ero in trepidante attesa di volare in Russia per recuperare il fuoristrada. L’ho riabbracciato al porto di Vladivostok, dopo un mese di navigazione in un container, l’ho revisionato e mi sono tuffato nella corsa verso l’Italia. La strada per Mosca è lunga da far paura, ma i 10.000 km in definitiva non sono stati terribili da annullare, del resto ho guidato sulle orme di due italiani che l’anno scorso avevano realizzato l’impresa con una Cinquecento.... Il tratto più insidioso è stato quello tra Birobidzhan a Chita, nell’estremo oriente russo, con quasi 1.500 km di sterrato (nella foto sopra), peraltro in condizioni dignitose. Li ho macinati in tre giorni, mentre in Siberia ci sono stati ancora meno grattacapi. Ci sono continui lavori in corso, di notte mal segnalati, lungo la strada perché è in fase di completamento la Transiberiana d’asfalto (nella foto a fianco) che si affiancherà alla famosa ferrovia (nella foto sotto la stazione di Vladivostok, ultima fermata della Transiberiana).

Purtroppo l’operazione-recupero del Land Cruiser si è rivelata abbastanza laboriosa, a Vladivostok, dove si sente più l’influenza cinese e giapponese che russa, ho perso quasi dieci giorni in più del previsto, cosicché ho dovuto rinunciare alla tappa in Mongolia, sia per problemi di tempo, sia perché nemmeno in Russia si è materializzato il differenziale anteriore, l’araba fenice del raid, indispensabile per sfidare lo sterrato mongolo. Ho potuto invece cambiare i quattro ammortizzatori e una serie infinita di pezzi e giunture, ormai totalmente usurati, che avevano minato la stabilità del Land Cruiser e che avrebbero potuto minare la mia incolumità. Così i rischi di un crollo meccanico sono stati eliminati. I primi giorni a Vladivostok mi avevano spaventato perché in Russia quasi nessuno parla l’inglese e tutte le scritte sono in cirillico. Mi ero sentito un pesce fuor d’acqua sul piano della comunicazione, così come in Giappone e, pensando all’infinito che era all’orizzonte, mi aveva assalito un po’ di ansia. L’ansia di non essere in grado di rientrare a casa sano e salvo. Dopo un anno e un mese di gestione abbastanza disinvolta del raid, e con l’Italia è relativamente alle porte, temevo un guaio che avrebbe potuto distruggere quanto costruito proprio sul filo di lana. Sarebbe stata una beffa insopportabile.

Fortunatamente ho conosciuto Yulia, una giovane giornalista e interprete russa innamorata della nostra lingua, che mi ha scortato nell’ultima avventura. Lei mi ha aiutato a non perdermi per strada, a trattare con la polizia, e a salutare la Russia entro il 2 settembre, data di scadenza del visto. Purtroppo l’assoluta scarsità di tempo ha svilito enormemente la tappa asiatica, trasformatasi in terreno da «bruciare» nel più breve tempo possibile: mi sono gustato parzialmente soltanto il lago Baikal (nella foto sopra) e la magica San Pietroburgo (nella foto sotto), ma parlando con Yulia ho scoperto la vera realtà russa, impossibile da comprendere per un turista mordi e fuggi.
Le persone sembrano rudi, ma l’animo è gentile e comunicativo. L’estremo oriente russo e la Siberia sono meno misteriosi di quanto si possa pensare e, in estate, lontani dallo stereotipo partorito in Europa: gelo e desolazione perenni. Il panorama è abbastanza monotono, segnato da spazi immensi, dalle betulle, da isolati insediamenti umani (abbastanza deprimenti, salvo villaggi con casette in legno abbellite da porte e finestre colorate come nella foto a fianco), dalle stravaganti chiese ortodosse, da brutture-residui dell’epoca sovietica, dalle automobili giapponesi usate con targa provvisoria destinate a invadere tutta la Russia, dalle donne che ai bordi della strada vendono frutta, verdura e miele, da decrepiti ma affascinanti sidecar e dai ... bagni russi, latrine spartanissime (eufemismo) sempre fuori dalle case. A Vladivostok c’erano 30 gradi e ho sofferto il caldo umido, in diverse città e foreste dell’interno ho dovuto invece lottare con un’orda famelica di zanzare e moscerini: sono stati attacchi aerei di violenza inaudita, a loro paragone il più crudele esattore delle tasse è un dilettante come succhiasangue.
Ho parlato di Yulia, ma se non ci fossero stati Mauro e Marcello, titolare e chef del Ristorante Italiano di Vladivostok, il più prestigioso della città (nella foto a fianco), e i loro collaboratori probabilmente sarei impazzito nel tentativo di districarmi nella burocrazia russa e riconquistare il fuoristrada. I due romani sono stati di una gentilezza unica. Durante il viaggio molte persone mi hanno dato una mano disinteressatamente, ma loro hanno stracciato tutti i record, cancellando il minimo contrattempo nato durante la mia permanenza a Vladivostok e rifocillandomi con i piatti della cucina romana più autentica e tradizionale. Le farfalle con il pomodoro fresco e la polpa di granchio gustate l’ultima sera, prima della mezza ubriacatura a base di vodka, mi sono rimaste nel cuore, anche perché dopo ho sofferto la fame....
Marco Sanfilippo

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