Cronaca
Giovedì 05 Maggio 2016
Settant’anni di Totocalcio - Video
Un Paese che ha sperato di «fare 13»
Un Paese in «bianco e nero» che stava per scegliere tra Monarchia e Repubblica e dove gridare «Ho fatto 13!» rappresentava il sogno di una vita migliore per milioni di persone appena uscite dalla Guerra.
Era questa l’Italia di quel 5 maggio 1946, quando nacque la schedina Sisal, poi trasformatasi in Totocalcio, che per decenni, nei bar e nelle ricevitorie di tutto il Paese, avrebbe fatto compagnia a milioni di sognatori. Un rituale che si è ripetuto ogni sabato pomeriggio per oltre mezzo secolo in maniera quasi maniacale, in un mondo dove ancora non c’erano anticipi e posticipi, le partite si giocavano tutte, solo e sempre la domenica e quando vincere voleva dire davvero a volte rifarsi una vita. Un gioco che è stato raccontato anche in molti film.
Giovedì 5 maggio la schedina ha compiuto dunque 70 anni, quanto il brevetto della Vespa Piaggio depositato proprio allora, un’epoca d’oro della storia d’Italia, quando sognare un futuro migliore era lecito, l’azzardo innocuo consentito, e per farlo bastava un pezzetto di carta. Da ormai un po’ di anni non è più la «regina» incontrastata delle domeniche e delle scommesse, detronizzata dai tanti concorrenti venuti via via e da un mondo che non è più lo stesso. Ma tant’è, un posto nella storia del costume italiano se l’è guadagnato di diritto.
L’intuizione l’ebbe un giornalista sportivo triestino, della Gazzetta, Massimo Della Pergola, finito in un campo di prigionia in Svizzera in quanto ebreo. Fu lì che sviluppò l’idea di un passatempo popolare che avrebbe finanziato la rinascita dello sport italiano e fatto innamorare un Paese intero. Insieme ai colleghi Fabio Jegher e Geo Molo fondò la Sisal (Sport Italia Società A responsabilità Limitata), con una schedina inizialmente di 12 partite, e i vincitori con 12 e 11 punti.
Di quel primo foglietto colorato si stamparono 5 milioni di copie ma se ne giocarono appena 34 mila. Per sbarazzarsi di quella montagna di carta, alla Sisal decidono di distribuire le schedine inutilizzate ai barbieri: serviranno a pulire i rasoi. Giocare una colonna costava allora 30 lire, il prezzo di un bicchiere di Vermouth, e per molti diventa subito un veicolo spicciolo per realizzare sogni, grandi e piccoli: comprarsi casa, ripianare i debiti, fare un viaggio in capo al mondo.
Il primo vincitore fu Emilio Blasetti, che incassò 463.846 lire, grazie a una successione di sei X di fila. Dopo un iniziale scetticismo, il successo arrivò travolgente ed in pochi mesi le giocate toccarono le 13 milioni di colonne, una ogni tre abitanti. L’italiano del Dopoguerra era affamato certo di passione per il calcio, ma anche e soprattutto delle lire. Che si tratti di un’intuizione geniale lo capisce anche il governo che due anni più tardi, è il 1948, nazionalizza la schedina, ribattezzata Totocalcio, diventata troppo ghiotta perché lo Stato rinunci a guadagnarci sopra.
Per finanziare i Giochi di Londra la colonna sale a 50 lire e con l’aumento arriva anche la prima vincita a nove cifre: 104 milioni a Prato. Una escalation che porta soldi e sogni per tutti, ma che a volte si trasformano anche in tragiche realtà, come quella del vincitore miliardario del 1977 che cercò di inventarsi imprenditore prima di finire i suoi giorni fallito e con la vita sotto un treno.
Ma il Totocalcio è una droga di sogni e di passioni e negli anni Ottanta e Novanta arriva a distribuire fino a mille miliardi di lire ogni stagione. L’anno dei record è il 1993: la vincita più alta in assoluto è quella del 7 novembre, quando tre schedine con un 13 e cinque 12 giocate a Crema, Patti Marina (Messina) e in un autogrill sulla Napoli-Salerno, regalano ai loro possessori 5.549.756.245 lire.
Pochi mesi più tardi si ha il montepremi più ricco con ben 34.475.852.492 lire. Ed è proprio lì, da quei superpremi, che paradossalmente forse comincia il declino della schedina. Una decadenza che ha tanti padri e molte cause: la moltiplicazione dei concorsi (sull’onda del successo erano nati Totogol e Intertoto), i montepremi astronomici del Superenalotto e la legalizzazione delle scommesse, i «Gratta e Vinci» e quell’immenso tavolo da gioco che è Internet.
La «domenica nera» è del 24 agosto 2003, col Totocalcio portato intanto a scommettere su 14 partite e che, complice anche lo sciopero del calcio, registra il premio più basso della sua storia, con 55mila «14» e due euro di premio ciascuno. Da allora la discesa è verticale: -10% di giocate fra il 2003 e il 2004 a 443 milioni, che dieci anni più tardi scendono a solo 39,8 milioni, fino ai poco più di 10 milioni dei primi quattro mesi 2016: un crollo totale.
Al netto dell’effetto nostalgia il Totocalcio si può dire sia ormai solo un «dead betting walking», prossimo a raggiungere nel Pantheon del tempo altri fratelli che hanno fatto epoca come lo storico Totip.
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