Se l’Italia non serve più
al business degli Agnelli

La leggenda narra che Gianni Agnelli annunciò all’amministratore delegato della Fiat Cesare Romiti di aver comprato il Corriere della Sera dal finestrino della sua Ferrari, mentre stava staccando il piede dell’acceleratore per ripartire dopo una colazione di lavoro in un ristorante milanese.

Altri tempi: il banchiere Enrico Cuccia, dominus di Mediobanca, ovvero del salotto del capitalismo italiano, aveva chiesto alla Fiat di entrare nel capitale della Rizzoli dopo lo scandalo della P2 nel Corriere. Da allora la dinastia torinese ha controllato il quotidiano di via Solferino per decenni, insieme con il «gioiello di famiglia», quella Stampa di Torino che da sempre fa rima con la famiglia Agnelli. E ora? Ora le notizie che si avvicendano nel mondo dell’editoria hanno dell’incredibile e stanno facendo vedere cose che noi umani non avremmo potuto immaginare, come direbbe il Roy Batti di Blade Runner.

La prima «cosa» è la fusione tra il gruppo Espresso-Repubblica e La Stampa, che a sua volta si porta in dote Il Secolo XIX, il grande quotidiano di Genova. Dunque non c’è più competizione tra la famiglia Agnelli e la famiglia De Benedetti e già questo fa pensare a mondi nuovi, inesplorati e anche un po’ incerti, perché le fusioni non sono mai indolori e soprattutto la competizione nell’editoria è sinonimo di vivacità e libertà informativa; la fusione non sempre.

Ma è l’altra notizia che è ancora più epocale, perché il gruppo Fiat-Chrysler ha annunciato di recidere il proprio cordone ombelicale dalla Rcs, da cui dipende il Corriere, che aveva già ceduto la divisione libri alla Mondadori. La quota in Fca, che è del 16 per cento, verrà sbriciolata come la torta «sbrisolona» tra i rimanenti soci. Non solo: la Exor, di proprietà della famiglia Agnelli e dell’ingegner Elkann venderà la sua quota parte sul mercato, che è del 5 per cento, sempre sbriciolata nella nebulosa dei mercati azionari. La cosa sorprende poiché Elkann è un editore globale, che siede nel consiglio di amministrazione della News Corp di Rupert Murdoch, il tycoon di Sky, e dell’Economist, l’autorevole settimanale della City. Perché l’Italia non gli interessa più?

Con il «disimpegno» della Fca e della famiglia Agnelli dal gruppo, Rcs avrà una struttura quasi da public company. A questo punto la domanda sorge spontanea: chi comprerà la quota di Fca? Chi sarà l’editore di riferimento del Corriere? Insomma: chi comanderà? Diego della Valle? Urbano Cairo? Domanda non indifferente visto che stiamo parlando di uno dei maggiori poli editoriali del Paese, proprio nel momento in cui il quotidiano di via Solferino fondato dal garibaldino dei Mille Torelli-Viollier spegne 140 candeline. Mentre le rappresentanze sindacali del gruppo ricordano che la Fiat se ne va dopo aver spinto per alcune avventure estere non proprio remunerative, come l’operazione Recoletos, acquisita per 600 milioni di euro che ora pesano nel bilancio del gruppo.

E già si sussurra e grida che dietro l’angolo dell’operazione di «disimpegno Fca» ci sia un’altra fusione galattica nel panorama editoriale italiano: quella tra Corriere della Sera e Il Sole-24Ore, anche se al quotidiano di Confindustria aspettano di sapere chi sarà il nuovo presidente nella corsa a quattro che si sta svolgendo tra gli imprenditori italiani. Forse le fusioni dei «giornaloni» nel clima non certo felice in cui si dibatte l’editoria mondiale, sono necessari, essendo l’equivalente delle grandi fusioni automobilistiche. Ma resta anche il dubbio che i grandi giornali, nell’era delle tv satellite e dei social networks, dei grandi player editoriali globali, non siano più strategici come lo sono stati un tempo.

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