«Scusate, posso entrare in tenda?
Non ho più niente, credetemi»

«Scusate, possiamo?». Varcano il cancello quasi di soppiatto, timorosi di disturbare, di chiedere, spesso con quella riconoscenza velata di terrore.

La paura di vedersi precipitare nella nuova condizione di accampato, di uno che vive nel proprio paese e però non più nella sua casa, e chissà per quanto tempo ancora. È un limbo esistenziale, l’efficientissima tendopoli che l’Anpas ha allestito a 400 metri dallo scempio del centro storico di Amatrice. La gente comincia ad arrivare solo ora, a tre giorni dal sisma, dopo aver tentato di resistere dormendo in auto.

«Ma prima o poi devono venire qui da noi: di notte si scende a 4/5 gradi e qui le tende sono dotate di caloriferi a olio», allarga le braccia dispiaciuto il capo campo Valerio Zucchelli, bergamasco della Croce Blu di Gromo, uno che di tragedie simili ne ha viste parecchie. «Io non ho più nulla, se volete verificare, lavoro in Comune», si presenta una donna. E la volontaria che l’accoglie deve sfoderare il miglior sorriso per toglierla dall’imbarazzo: «Ma si figuri, signora, venga, venga».

«Non chiedono niente, è gente che ha visto morire i familiari, non ha pretese. Sono molto dignitosi nel loro dolore - confida Zucchelli -. A chi ha perso una persona cara lo leggiamo negli occhi. Temono che questa sistemazione sia a lungo periodo, ma noi ci preoccupiamo sempre di specificare che è soltanto una soluzione provvisoria».

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