Cronaca / Valle Cavallina
Giovedì 09 Aprile 2015
Ragno, c’è omertà in Val Cavallina?
La requisitoria del pm fa discutere
Clima omertoso. Pesante l’accusa contro la Val Cavallina quella emessa da chi ha indagato e alla fine inchiodato il Ragno di Monasterolo.
Nell’ultima requisitoria prima della sentenza di mercoledì 8 aprile, la pm Maria Cristina Rota che ha coordinato le indagini ha nemmeno tanto velatamente lasciato intendere che non è stato facile anche perché la valle non ha collaborato. Anzi. L’esempio raccontato in aula, quello dei carabinieri che hanno dovuto cambiare sponda del lago, «nascondendosi» tra Ranzanico e Spinone per osservare con un potente cannocchiale noleggiato dalla Marina militare i movimenti di Giambattista Zambetti di stanza al Legnèr di Monasterolo, dove c’è una vecchia proprietà di famiglia usata - anche - come base d’azione. Perché? «Perché - queste le parole del pubblico ministero - se si fossero avvicinati, qualcuno avrebbe senz’altro avvertito l’imputato». Parole pesanti.
La Val Cavallina come una ragnatela in cui il Ragno scorrazzava libero e protetto come un boss della mafia siciliana? «Un clima omertoso evidentemente esplicito io non l’ho mai recepito. Anche perché mi par di capire che l’alta Val Cavallina è il luogo di vita e non di attività di questa gente». Parole di Paolo Meli, assessore alle Politiche sociali di Monasterolo e presidente dell’Assemblea dei sindaci di zona
Di «clan familiari» parla il professor Mario Suardi, storico della Valle, direttore del Museo Cavellas di Casazza: «È un territorio molto sui generis, chiuso, arroccato in paesi e piccole comunità che ancora faticano a comunicare tra loro. Gente che va e viene, dunque, che un giorno c’è e l’altro no, quindi le comunità si stringono per fare “muro” contro lo “straniero”».
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